Sadismo e potere sul posto di lavoro


Il perché del comportamento dei persecutori e perché, spesso, nessuno li denuncia, o addirittura li appoggia e giustifica, minimizzando la gravità degli atti. Gli attori del mobbing.

Gli attori del mobbing sono: la vittima, il mobber, il co-mobber, il bysyander o spettatore passivo, il whistleblower (traduzione letterale: chi fischia, chi segnala l’illecito, cioè chi va in soccorso della vittima e chiede aiuto ad altri, ma da come si può arguire è raro trovarli).

Per quanto concerne i mobber, ovvero i persecutori, alcune spiegazioni possibili del loro comportamento sono il potere che inebria la loro mente e/o il loro sadismo e/o il disimpegno morale, cioè una autoassoluzione (in questo ultimo caso una scissione tra pensiero e azione che permette al soggetto di compiere azioni eticamente riprovevoli senza avere rimorsi).

Secondo Caprara il disimpegno morale è dato dai seguenti meccanismi psicologici: giustificazione morale, confronto vantaggioso, diffusione delle responsabilità, sottovalutazione e distorsione delle conseguenze, colpevolizzazione della vittima, che diventa il capro espiatorio.

Per quanto riguarda i side-mobber o co-mobber, cioè coloro che aiuterebbero, sosterrebbero il persecutore la spiegazione più plausibile del loro comportamento è il fenomeno di identificazione (Freud, 1921), ossia di un legame emozionale con il mobber, che porta sia all’investimento oggettuale nei confronti del mobber che all’imitazione dei suoi atteggiamenti e comportamenti nei confronti della vittima.

Il side-mobber può essere non solo seguace del leader del gruppo informale oppure semplice gregario, ma anche una persona succube, che può aver subito comportamenti vessatori da parte del leader in passato e successivamente si è identificata con il suo oppressore. A tale riguardo bisogna ricordare che sono esistiti casi di identificazione estrema come quelli documentati da Bettelheim nel 1943 dei prigionieri ebrei in campi di concentramento nei confronti dei loro aguzzini e come quelli documentati da Milner nel 1975 dei bambini di colore nei confronti dei bambini bianchi.

Che esistano gli spettatori passivi nel corso del mobbing è un fatto accertato. In una ricerca svolta da Work, Stress and Health nel 1999 vennero intervistate 200 persone, di cui 154 vittime di mobbing e 53 testimoni di mobbing. In molti casi di mobbing vi sono i cosiddetti bystander. Si iniziò a parlare di bystanding con l’omicidio di Kitty Genovese nel 1964, una donna uccisa a coltellate nonostante chiedesse aiuto e gridasse. 38 persone affacciate alla finestra assistettero al delitto, ma vennero chiamate le forze dell’ordine quando era ormai troppo tardi.

Un fattore determinante nel comportamento di aiuto è il numero delle persone presenti, come hanno dimostrato Latanè e Dabbs nel 1975. In un loro esperimento facevano compilare ai soggetti un questionario, quindi accendevano un registratore nella stanza attigua in cui era registrata la voce di una donna che chiedeva aiuto. Le persone che erano da sole nella stanza accorsero a prestare aiuto nel 70% dei casi, mentre quando erano in due persone nella stessa stanza si accingevano a prestare soccorso il 40% dei soggetti.

Secondo Latanè e Darley i fattori sociali che possono determinare il mancato intervento sono: ignoranza pluralistica, diffusione di responsabilità, inibizione in pubblico. L’ignoranza pluralistica è causata dal fatto che spesso l’evento può essere ambiguo e il soggetto interpreta la situazione nello stesso modo (talvolta errato) in cui l’interpreta la maggioranza. Quindi se la maggioranza non interpreta il fumo come campanello di allarme di un incendio ma come uno scherzo di alcuni di colleghi di lavoro buontemponi anche il singolo individuo si associa alla maggioranza.

Piliavin e Piliavin’s nel 1972 hanno invece concluso che l’intervento o il mancato intervento siano dovuti a un’analisi costi/benefici. La persona quindi valuterebbe i costi dell’intervento (eventuali danni personali, perdita di tempo, impegno, imbarazzo di fronte ad altri) e allo stesso tempo i costi del mancato intervento (costo di empatia,ovvero sensazione spiacevole nel veder soffrire la vittima; costo personale: senso di colpa successivo all’evento e disapprovazione pubblica).

Per Cialdini (1991) il comportamento prosociale non scaturisce dall’altruismo, piuttosto dall’evitare sensazioni psicologicamente spiacevoli che scaturiscono da un mancato intervento di aiuto. Sempre per quanto riguarda il mobbing va detto che gli spettatori passivi spesso soffrono di stress occupazionale e non parlano perché hanno paura di essere mobbizzati a loro volta.

Bibliografia ragionata: Bettelheim, B. (1981). “Sopravvivere e altri saggi” (tr. it. Adriana Bottini, Surviving and Other Essays, 1979), Feltrinelli, Milano; Darley, J. M. & Latané, B. (1968). “Bystander intervention in emergencies: Diffusion of responsibility”. Journal of Personality and Social Psychology; Darley, J. M., & Latane, B. (1970). “The unresponsive bystander: why doesn’t he help?” New York: Appleton Century Croft; Jean Laplanche, Jean-Bertrand Pontalis. (1988). “The language of psychoanalysis”, Karnac, Paperbacks.

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