Venezia e Guccini, percezioni geografiche.


L’“imbroglio di Venezia”, la città nella dimensione sospesa del galleggiamento e della precarietà, tra l’onirico e la finzione. La geografia letteraria della soggettività.

Dopo gli scenari bellici continuiamo ad esplorare l’approccio geografico che indaga il ruolo della percezione nella lettura delle complessità del paesaggio, specie in ambito letterario. La funzione del soggetto percettivo nell’’indagine sul senso dei luoghi, intesa nella sua dimensione epistemologica, aumenta infatti di intensità laddove il contesto di riflessione sia letterario.

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Un rapporto, quello fra geografia e letteratura, che ha dato vita ad un proprio indirizzo di indagine.

Nella prospettiva della epistemologia geografica si è posta attenzione, come precedentemente accennato, alla soggettività letteraria. Chiarificatore in tal senso è Cusimano quando sottolinea che la soggettività è stata il primo interesse dell’analisi geografica della letteratura che si è orientata a far emergere le molteplici caratteristiche della spazialità presente nell’opera letteraria” (Cusimano, La costruzione del paesaggio siciliano: geografi e scrittori a confronto, 1999, p. 16).

Oggi iniziamo un percorso, fra gli innumerevoli possibili, che vuole porre in risalto la sensibilità geografica dei testi delle canzoni di Francesco Guccini. Iniziamo da Venezia.

Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare, la dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi, Venezia, la vende ai turisti, che cercano in mezzo alla gente l’Europa o l’Oriente, che guardano alzarsi alla sera il fumo – o la rabbia – di Porto Marghera…

Venezia, Guccini

La prima strofa incornicia il paesaggio veneziano nella percezione dell’autore. Dopo il potente richiamo a Mann, l’elemento acquoreo, lagunare viene immediatamente registrato nella sua dimensione identificativa di substrato. Un davanzale sul quale si struttura la città ed il suo immaginario.

Un immaginario di fasto decadente, di turisticizzazione, di suggestioni stori-che e culturali cui fa da potente contraltare la terraferma, Porto Marghera, operoso e conflittuale.

Sin dall’incipit si rintraccia una marcata chiave di lettura della percezione del luogo, che inchiavarda elementi fisici del paesaggio a rimandi che coinvolgono le dinamiche umane sottese ad una logica di spazio pericolosamente, nella lettura di Guccini, proiettato in una di-mensione turistica assolutizzante e poco sostenibile.

La città, scenario di una tragica storia umana che tralasceremo, è narrata nella sua di-mensione della sospensione, del galleggiamento, della precarietà.

Una dimensione fisica, come accennato, data dalla laguna e dalle maree, ed insieme metaforica, che rimanda all’incrocio culturale, ma anche ad un’emotività caduca, che ha pervaso le letterature, ed anche mentale, tra l’onirico e la finzione.

La Venezia di Guccini è luogo fisico e dell’anima in cui si avverte la problematicità del rapporto fra comunità, turisti e territorio. La terraferma rappresenta, nella sua dimensione ordinaria, il punto d’approdo di una comunità espulsa, o fortemente intralciata nella sua permanenza in laguna.

La rabbia di porto Marghera o la sirena di Mestre, sono gli elementi territoriali in cui si inserisce una comunità mai evocata, marginalizzata, operosa e silente.

Venezia, quella dell’immaginario collettivo, unica e superba, è un albergo, San Marco è senz’altro anche il nome di una pizzeria, la gondola costa, la gondola è solo un bel giro di giostra o ancora è anche un sogno, di quelli che puoi comperare. Venezia è un imbroglio. È la sentenza del lettore e del narrato-re di paesaggio, una sentenza sofferta, consapevole delle sfumature irriducibili, ma comunque una sentenza.

Note dell’autore: L’articolo sintetizza alcune delle evidenze pubblicate nel saggio: Lazzarotto, Messina, Percezione e narrazione dei luoghi La poetica di Guccini fra prospettive geografiche e applicazioni didattiche, in D’Agostino (a cura di), Percorsi sul pentagramma Geografia, musica e letteratura, Nuova Trauben, Torino, 2018.

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