Recitar! Mentre preso dal delirio…


La disinibizione di attori e folli: il volto svela verità più d’ogni parola. Il voyeurismo scientifico dell’800. Tra i tanti, il caso di Augustine, la ragazza stuprata che diventava teatro per i medici.

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Nessuno può a lungo avere una faccia per sé stesso e un’altra per la folla senza rischiare di non sapere più quale sia quella vera.

Nathaniel Hawthorne

E’ dalla metà del Ottocento che fisiognomica e fotografia vengono utilizzate in abito criminale e psichiatrico, lo studio del volto dell’uomo e in particolare delle sue espressioni attraverso le immagini invece, è sempre stata materia di studio degli attori e motivo per cui l’invenzione di Daguerre instaurò da subito uno stretto legame con il mondo teatrale.

I primi a presentarsi davanti all’obiettivo furono cantanti e attori, il loro intento era quello di acquisire attraverso nuovo mezzo notorietà, ma capirono subito che potevano trarne ben altri vantaggi. Il loro essere di mestiere disinibiti li rendeva soggetti ottimali da ritrarre, non avevano bisogno di indicazioni di posa e la loro naturalezza parlava di verità.

Ma la disinibizione era anche la caratteristica che gli alienisti attribuivano ai malati di mente, la fotografia, ovvero la raffigurazione del reale, era quindi per loro il mezzo più idoneo a ritrarre soggetti privi di ogni freno inibitorio e a diventare supporto prezioso allo studio e alla catalogazione delle patologie della mente.

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Ancor prima di Cesare Lombroso il britannico Welch Diamond contribuì alla diffusione della fotografia psichiatrica a livello mondiale, anticipando le teorie di Darwin che era un fervente sostenitore che la verità fosse prerogativa del mezzo fotografico.

Ma realtà e finzione come ci insegna il mondo del teatro spesso tendono a fondersi. Tra il 1878 e 1881 il dottor Jean Martin Charcot si dedicò allo studio dell’isteria attraverso l’uso della fotografia. Ogni martedì del mese organizzava lezioni pubbliche cha assomigliano a veri e propri “spettacoli” e davanti ai presenti e al fotografo incaricato di ritrarle, induceva crisi epilettiche alle pazienti della sua clinica.

Tra le protagoniste di questa barbarie c’era la povera Augustine, una ragazza vittima di violenza sessuale che aveva sviluppato disturbi comportamentali e alla quale lui aveva diagnosticato l’isteria.

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Augustine

Come da “copione” ogni martedì la ragazza diventava “attrice” e ripetendo le stesse espressioni del volto e del corpo indotte dai farmaci inscenava un processo difficilmente attribuibile a realtà o a finzione.

La teatralità eccita il voyeurismo scientifico, ma ne inquina la verità inserendo in manuali diagnostici atteggiamenti simulati e non sempre riconducibili a vere e proprie patologie.

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Govi

La follia è l’atteggiamento con cui il teatro racconta da sempre l’esistenza e la maschera ne è stata la prima complice. Utilizzata per celare  personalità od ad amplificare voci e atteggiamenti si trasformò successivamente nel simbolo della Commedia dell’Arte. L’attore moderno invece ha preferito maschere di carne regalando la libertà al volto e, secondo l’intuizione che Gramsci fa a proposito di Goldoni, preannunciando l’avvento della democrazia.

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Govi

Ettore Petrolini, Erminio Macario, Totò e Gilberto Govi sono stati la dimostrazione di come un volto libero comunichi più di mille parole. Govi è anche l’esempio di come la fotografia abbia aiutato nella ricerca dell’altro io. Diplomatosi all’Accademia di Belle Arti applica il suo studio agli schizzi caricaturali di se stesso aiutandosi con una notevole raccolta fotografica di personaggi più o meno noti. Ogni mimica è da lui studiata prima sulla carta e poi sul palcoscenico e utilizzata successivamente come canovaccio espressivo.

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Come infine non ricordare quindi le parole di Ruggero Leoncavallo che nei suoi Pagliacci fa cantare al personaggio Canio:

“Recitar! Mentre preso dal delirio non so più quel che dico e qual che faccio. Eppure è d’uopo, sforzati. Bah! Sei tu forse uomo? Tu sei Pagliaccio”.

Augustine Film 2012

Jean-Claude Monod et Jean-Christophe Valtat 2003

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