Sex and the Sweet


Il menage tra erotismo e cibo: da “Fate l’amore con il sapore” a “Orgasmatico”. In fondo Freud, Bibbia e Corano ne parlano già da tempo [In coda, ricetta: Minne di Sant’Agata]

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Minni di virgini sicule, cerimito e sportella elbani, sise delle monache abruzzesi, vagina-cake newyorkesi… eros e gola, specie in pasticceria, sono una combo osannata che nei secoli non ha perso smalto, probabilmente perché condividono le stesse aree del cervello e sono controllati dai medesimi ormoni. Dunque, possono rappresentare un soddisfacente surrogato l’uno dell’altra e saziare emotivamente il genere umano.

Se Freud è stato il primo a trattare scientificamente tale legame, associando in modo diretto nutrimento e sessualità in quanto pulsioni istintive degli uomini, deputate pertanto ad influenzarne i comportamenti di autoconservazione in maniera più o meno consapevole, va ricordato che ad avvalorare un simile sodalizio ci avevano già pensato i testi sacri dei monoteismi occidentali come la Bibbia (ove il peccato originale commesso da Adamo ed Eva è rappresentato dal consumo di un dolce pomo tentatore, reo di aver svelato agli uomini la carnalità) e il Corano (in cui le gioie del paradiso islamico prevedono libagioni di latte e miele accompagnate da seducenti fanciulle di eterna bellezza).

Cibo e sesso sono piaceri intensi ed appaganti, simboli sociali praticati in gioviale compagnia in contrapposizione a digiuno ed autoerotismo, che rimandano a condizioni d’isolamento e mortificazione. Inoltre, tralasciando necessità e istinto, tanto nell’erotismo quanto nella gastronomia, la bocca è l’organo di raccordo, mentre il senso del gusto costituisce lo strumento con il quale i due piaceri si fondono.

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Nel linguaggio sessuale non verbale di due partner infatti, baciarsi e mordersi affettuosamente sono comportamenti che evidenziano il bisogno di gustarsi reciprocamente, concedendosi come tavola o portata principale, al fine d’incorporare in sé l’oggetto amato; parallelamente, condividere il pasto o imboccarsi, implica abbassare le difese e ampliare il proprio spazio di accettazione.

L’immaginario visivo collettivo è ricco, in tal senso, di raffigurazioni variamente allusive: si pensi, ad esempio, a ‘Le dejeuner sur l’herbe’ di Edouard Manet in cui pesche, ciliegie e brioches son testimoni d’uno sfrontato rendez-vous, o ad ‘Untitled (Portrait of Ross in L.A.)’ di Felix Gonzalez-Torres che in un cumulo di caramelle trasfigura il corpo dell’amato.

Oppure alla chewingum scambiata di bocca in bocca fra Lolita e il professor Humbert nel lungometraggio di Adrian Lyne, ispirato all’incestuoso romanzo di Nabokov.

O alle conturbanti praline protagoniste della pellicola ‘Chocolat’ di Lasse Hallstrom, laddove lo scambio zuccherino è promessa d’illecite carezze.

Anche il marketing ha giocato un ruolo fondamentale affinché l’alimento reclamizzato assurgesse a icona autoreferenziale di godimento: è stato il caso della seducente campagna pubblicitaria del gelato Magnum ‘7 Sins’ firmata da Shekhar Kapur, o del peccaminoso payoff aziendale dello yogurt Muller ‘Fate l’amore col sapore’.

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Poi c’è il sempreverde escamotage del testimonial di tendenza che fa impennare le vendite: come nello spot Mulino Bianco, con l’ammiccante Antonio Banderas nelle vesti di suadente mugnaio che sfornava biscottoni inzupposi e cornetti traboccanti confettura, assieme all’improbabile gallina Rosita.

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Oppure nella serie HBO ‘Sex and the City’ con due delle trendy protagoniste che gustavano dei cupcake per consolarsi dalle pene d’amore consacrando a monoporzione cool per eccellenza quello che sino al giorno prima era un banale e misconosciuto dolcetto per le feste dei bambini.

E come non citare l’autentica epifania del nuovo millennio? Il food-porn è una divinità social con milioni di adepti, capace di sfruttare l’universo televisivo quale cassa di risonanza per i propri mantra.

Questa gigantesca ossessione culturale, a partire dal XXI secolo, ha trasformato un’attività archetipica come cucinare in prova ad alto tasso di stress, poiché l’uomo della strada, adescato dall’erotismo casalingo del tiramisù di Antonella Clerici, sedotto dalla torta zebrata della mamma in tacco dodici Benedetta Parodi e ammaliato dal pan di zenzero dell’intransigente esteta Csaba Della Zorza, non può esimersi dal provar ad impiattare come uno chef.

Ecco allora che entra nel girone dei lussuriosi, nel viaggio dell’eroe in cui il dolce è racconto epico riconosciuto e legittimato da migliaia di followers, fino all’apoteosi del reality per eccellenza: Bake Off, che ha nel maestro pasticcere Ernst Knam, il temuto giudice detentore del sancta sanctorum, capace d’innescare lacrime estatiche nei concorrenti con una sola parola: “orgasmatico”.

Il voyerismo di tale saga, non casualmente episodica e monotematica, è talmente esplicito – perfino in inquadrature e zoomate su colate di cioccolato monorigine, sode volute di candida panna e bocche soavemente dischiuse ad assaggiare ogni glicemico bendidio – da suscitar un fremito di libido perfino negli osservanti del digiuno intermittente.

Esattamente come negli scatti memorabili del calendario Pirelli, ciò che viene mostrato è ben lontano dal quotidiano dei più, è una performance a favore di camera e, proprio per questo, innesca dipendenza.

La sovrabbondante ricchezza delle prelibatezze instagrammate o cucinate in tv, riempie il cervello di una procace dolcezza che non si può toccare e lo stomaco di un sogno che non si smetterà di desiderare sino al prossimo deludente asporto o all’ennesima torta di mele cotta e mangiat… ops! bruciata e cestinata.

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RICETTA: Minne di Sant’Agata

Le minne di Sant’Agata, delizia impudica nata a Catania in onore della santa patrona della città.

120 gr strutto
200 gr uova fresche
150 gr zucchero a velo
500 gr farina 00 W 160
1 bacca di vaniglia

150 gr albumi
350 gr zucchero a velo
15 gr succo di limone
200 gr ciliegie candite

500 gr ricotta di pecora
100 gr zuccata
100 gr gocce di cioccolato fondente
80 gr zucchero semolato

Per la pasta frolla: in un ampio recipiente, o in planetaria con gancio, unire lo strutto a dadini e la farina, quando i due ingredienti saranno ben amalgamati aggiungere lo zucchero a velo, quindi incorporare le uova e la vaniglia. Impastare velocemente fino a quando il composto avrà una consistenza soffice ed elastica, poi avvolgere l’impasto con pellicola alimentare e lasciar riposare in frigo 2h.

Per la glassa: montare parzialmente gli albumi, aggiungere lo zucchero, il succo di limone e continuare a mescolare fino ad ottenere un composto lucido e candido.

Per il ripieno: lavorare la ricotta e lo zucchero sino ad avere una crema liscia e omogenea, quindi unirvi la zuccata, il cioccolato e far riposare in frigo per 1h. Imburrare degli stampi in silicone semisferici e stendervi un sottile strato di pasta frolla, successivamente farcirli con la crema di ricotta e chiuderli con dei dischi di frolla. Capovolgere delicatamente gli stampi su di una teglia foderata di carta da forno e cuocere a 170°C per 30 minuti. Sfornare e, una volta completamente fredde, estrarre delicatamente le minne dagli stampi, colarvi sopra la glassa in modo uniforme e decorare con una ciliegia candita.

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