Norman McLaren: quando musica e animazione si fondono


Incideva e dipingeva la pellicola stessa, come un pittore con la tela. Rendeva gli uomini marionette senza dialogo. Lo scozzese, che grazie al suo lavoro di animatore, diventerà Cavaliere dell’Ordine nazionale del Québec e riceverà l’appellativo di ‘Uomo Unesco’

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Norman McLaren viene oggi ricordato per i suoi esperimenti con l’immagine e il suono poiché ha sviluppato una serie di tecniche innovative per combinare e sincronizzare l’animazione con la musica.

Non avendo risorse finanziarie sufficienti, McLaren realizzò le sue prime opere senza l’ausilio di una telecamera, e quindi i suoi primi esperimenti con film e animazione si basano sull’incidere e dipingere la pellicola stessa, seguendo un lavoro intimo con la pellicola, molto simile a quello del pittore con la sua tela, che lo porterà a lavorare direttamente con le unità minime del linguaggio cinematografico

Il suo primo film esistente “Seven Till Five” (1933), un “giorno nella vita di una scuola d’arte”, è chiaramente influenzato da Eisenstein, la cui influenza si evidenzia in un atteggiamento fortemente formalista. Già con “Camera Makes Whoopee” (1935) troviamo un approccio più elaborato ai temi esplorati in “Seven Till Five”, ispirato dall’acquisizione di una cinepresa Ciné-Kodak, che gli ha permesso di eseguire una serie di scatti “ingannevoli”. McLaren utilizza qui effetti di pixilation, sovrapposizioni e animazioni non solo per mostrare la messa in scena di un ballo della scuola d’arte, ma anche per meglio raffigurarne le sensazioni estetiche emanate.

McLaren continuò a realizzare le sue opere, su base privata, fino a quando nel 1939, proprio quando la Seconda Guerra Mondiale stava per iniziare in Europa, ottenuta una borsa di studio della Solomon Guggenheim Foundation, si trasferì a New York dove avrebbe lavorato fino al 1941, realizzando quattro opere animate disegnate su film, ovvero “Boogie-Doodle”, “Dots”, “Loops” e “Stars and Stripes”. E’ proprio in queste opere che si evidenzia l’approccio musicale di McLaren che  asserì appunto di non servirsi di una sceneggiatura tradizionale, piuttosto di usare uno script musicale, spesso tratto da musica tradizionale o folkloristica (come sarà, per esempio, nel caso di “Le Merle”). Come infatti, si evidenzierà sin d’ora, il suo approccio si basa su una struttura ripetitiva in cui musica e animazione si fondono organizzandosi in piccole o grandi frasi, periodi e movimenti e così via.

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Il suo approccio musicale ci lascia comprendere quanto il processo creativo fosse importante per lui, e basato quasi completamente sulle semi-improvvisazioni, il cui successo è determinato fondamentalmente da un’idea generale e da un’immagine mentale di ciò che si vuole realizzare.

Soprattutto si coglie l’abilità di McLaren nel cogliere il movimento che il regista sembra percepire nel suo più profondo significato, richiamandosi a una definizione del “cinema puro” secondo cui il

movimento non sarebbe altro che un connubio di pensiero ed emozione, da cui sottrarre tutto ciò che, come sfondi e luci, che non sono rilevanti se non sono in movimento né possono essere un sostituto di quest’ultimo, può essere considerato un fattore secondario. E quindi la maggior parte dei film di McLaren sarà come caratterizzata da una successione apparentemente confusionale e veloce, ma sempre armoniosa, di immagini che si muovono sullo schermo.

La sperimentazione di McLaren continuerà grazie al sostegno economico e produttivo della National Film Board, presso la quale realizzerà “Neighbours” (1952), in cui non solo sperimenta una nuova tecnica, ovvero l’animazione di persone dal vivo, rendendo quindi i suoi attori come delle marionette, i cui corpi recitano senza ricorrere al dialogo, ma pure rappresenta la sua prima esperienza da compositore, registrando la musica dopo la fine delle riprese, ma scandendo sempre mentalmente i vari movimenti in base al ritmo che aveva stabilito.

Con “Neighbours”, inoltre, il regista dichiara quanto per lui l’arte sia una forma di espressione morale, in cui predomina l’appello ai nostri sensi e alle parti essenziali dell’essere umani: questo cortometraggio, infatti, è una parabola cinica e pessimista, che pur venendo sviluppata con agio e freschezza, con toni ironici e sottili, porta lo spettatore a sorridere con amarezza e a riflettere sulla natura umana, concludendosi con il tumulo dei corpi dei due protagonisti e la nascita di due fiori identici, che vanno a posarsi sulle tombe dei due contendenti.

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