Lo spettacolo delle acque del Torano


Lo spettacolo delle acque decantato da petrarchisti e vari artisti nei secoli. La storia del placido Torano, il fiume matesino, noto come la “piccola Svizzera”

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La storia di Piedimonte è stata, per secoli, fino alla seconda metà del ‘900, intrecciata con la vita del suo fiume: il Torano.  Entrambi, città e fiume, in stretta relazione, si incontrano in un documento che riporta un accordo di cessione tra la diocesi di Alife e il convento si Santa Maria in Cingla riguardante il possesso di beni immobili: “…ad Pedes de monte ubi dicitur ad pentuma et petra cupa, erga flubio Torano …” (1)

Il fiume, pur nella sua brevità, ha costituito un elemento di ricchezza per i comuni che ha bagnato; ha offerto una spinta propulsiva per le attività artigianali, che si sarebbero tramutate in imprese industriali; ha avuto una parte rilevante  nelle contese tra i feudatari del luogo e le collettività; ed infine  è stato anche foriero di occasioni di morte e di disastri per le alluvioni che hanno devastato, in diverse età, il territorio e i suoi insediamenti. Come è accaduto ad altri fiumi italiani anche al Torano è toccata la sorte di diventare topos letterario, di attrarre viaggiatori e ispirare artisti e di suscitare l’attenzione di storici e di economisti.

Il poeta Ludovico Paterno, un noto petrarchista del tardo ‘500, la cui abitazione sovrastava il palazzo ducale dei Gaetani (2) ed era posta sulla strada che menava alla chiesa normanna di San Giovanni, lo ritrae mentre affiora da Monte Muto (3):

Rapido fiume, che del mio bel monte
tacito uscendo i campi Alifii inondi, dove poi, sotto l’uno e l’altro ponte, l’argento e l’ambra nel Volturno ascondi (4)

“L’uno e l’altro ponte” segnano il percorso del “dolce e patrio Toran” (5), che prende la via di Alife, alimentando un secondo ramo, il nuovo Torano, all’ingresso di Piedimonte. In una raccolta più tarda, dal titolo Nuove Fiamme, il Paterno descrive le onde che si dipartono dalle  grotte della montagna:


Là, dove da diverse occulte bocche
escono i puri e liquidi cristalli
del tuo pianger, Toran di Cila figlio (6)

Il manierismo dei versi esprime la malinconica personificazione del fiume, che concorda con il sentimento amoroso del poeta.  Dopo le prove del Paterno, non furono pochi i poeti dell’area matesina che si dedicarono alla descrizione del Torano (7). Se ne possono trovare tracce  nell’Antologia del Medio Volturno che riporta alcuni componimenti degli Accademici del “Caprario” e di autori coevi, per giungere fino all’ Ottocento  e al Novecento. Significativi sono i versi di Michelangelo Benevento, che, ancora nel 1927, poteva descrivere l’orrido dal quale il fiume usciva con impeto, e che infondeva una specie di turbamento nello spettatore:

Due monti a picco.
Per la roccia grigia massi imminenti
E, nella stretta valle, il tormentoso
letto del fiume.

Chiaro e impetuoso
dallo spacco del monte esce il Torano,
contro i massi, coperti di verdura,
batte e si spezza …

L’onda sonante
spuma e zampilla, si riversa e insinua,
contr’ogni nuovo ostacolo ribolle,
e lo sovrasta” (8)

I versi del poeta molisano, per le cui notizie si rimanda alla citata Antologia, ritraggono le sorgenti e il corso del fiume, riprendono le categorie del pittoresco  e del sublime cari agli scrittori  e agli artisti   settecenteschi, tant’è che la bellezza dei luoghi non  era sfuggita a Phillip Hackert  che era venuto più volte a Piedimonte tra il 1790 e il 1801, e  aveva lasciato un disegno del Torano che usciva dall’orrido della valle dell’Inferno (9) e sembrava distendersi ampio e placido verso l’abitato.  Gli era stato compagno, in una di quelle spedizioni, Sir  Richard Colt Hoare  subito colpito dai posti poco noti alla cultura europea,  fino al punto di ritrarne gli scorci  in nove disegni dal vero. Francesco Comparone ha dedicato al viaggiatore inglese e alle sue vedute piedimontesi alcune pagine indispensabili per vedere il “Torano com’era”. Nello studio di Comparone  è possibile leggere il  giudizio di Colt Hoare su un paesaggio che non teme il confronto con gli scenari naturali più rinomati: “The Vallone del Inferno will rank high in the estimation of the artist, and not underservedly; for I never saw more beauty, morevariety, and nore novelty, concentrated within a small compass” (10).

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Qualche anno dopo le escursioni artistiche di Hackert e Colt Hoare, lo spettacolo delle acque del Torano  suscitavano le stesse emozioni. Gian Gaspare Egg dipingeva la zona della Colombaia (11), ora scomparsa, posta nell’attuale Piazza Carmine, prima della confluenza del Torano col Maretto. Lo  stesso scenario avrebbe, poi, conquistato Josef Rebell  che  lo  ritraeva, in una dimensione paesaggistica marcatamente pittoresca e prona ai canoni del vedutismo romantico, in un’opera intitolata  I mulini di Piedimonte (12). Il ritrattista, infatti, era rimasto impressionato dalle acque spumeggianti del fiume, che rullavano mosse dalla turbina, e che conferivano a quello snodo idrico una bellezza impetuosa, evocativa di paesaggi nordici. Fu anche per questa amenità paesaggistica, oltre che per l’operosità, che il Torano  si guadagnò la fama  appropriata di piccola Svizzera.

Note: 1) Cfr. D. Marrocco , Il Monastero di S. Maria in Cingla, “Quaderno di Cultura” n. 12 (1964) pag. 40; 2) Ludovico Paterno aveva scritto un  canzoniere intitolato  Nuovo Petrarca di messer Ludovico Paterno, dedicandolo  a Filippo II di Spagna, ristampandolo nel 1564 a Napoli da Giov. Maria Scotto in due tomi, con un titolo rinnovato: Della Mirzia di messere Ludovico Paterno. Parte 1° e 2°. Mirzia era il nome poetico, derivato dalla pianta del mirto, col quale il Paterno si rivolgeva alla donna amata identificata con la signora del luogo “Lucrezia Montalto,  moglie del conte Luigi Gaetani d’Aragona, della casa feudataria di Piedimonte”, come riferisce D. Marrocco in Il Canzoniere di Ludovico Paterno, 195; (3) Il  rapporto tra il Torano e Monte Muto ha avuto nel corso dei secoli  riconoscimenti poetici segnalati  nel saggio di M. Nassa, Il Monte Muto e l’eremo nella poesia locale, “Fraternità Aperta”, rivista trimestrale dell’OFS – GI.FRA di Piedimonte Matese, Anno III, Luglio 2000, pp. 20-2; (4) Citiamo da Antologia del Medio Volturno, associazione Storica del Medio Volturno, Laurenziana, Napoli 1976, pp. 12; (5) I versi che chiudono la prima quartina del sonetto Il Torano e Mirzia, da noi ripresa, sono riproposti quasi con identico calco nella successiva raccolta Nuove Fiamme,  Valvassori, Venezia 1561, p.241: “dolce e patrio Toran, che per due strade/l’argento e l’ambra nel Volturno asconde”. Il riferimento alle due strade ricorda i due rami del Torano che attraversano uno la campagna alifana e l’altro  quella piedimontese. Si legge, infatti, sul sito Piedimonte Matese di Google: “A valle di Piedimonte, in località Chiusa, a km. 2,2 dalla Sorgente, il Torano si biforca. Un ramo Torano-vecchio, scorre a sinistra per Vernelle, l’altro ramo, Torano-nuovo, scorre a destra per Alife. I due rami sboccano nel Volturno a km. 5 l’uno dall’altro (foce di Torano morto). Questa divisione non è naturale ma provocata dall’uomo. Non è facile dire quando è stata attuata.” Notizia, peraltro, riportata in questo volume nelle pagine di Ranieri Gaetani; (6) L. Paterno, Nuove Fiamme, Valvassori,  Venezia 1561, p.190. Paterno incorre, però,  in un errore orografico, il Torano  sgorga da monte Muto e non dal Cila; (7) Alcuni esempi si possono leggere in Antologia del Medio Volturno,  cit.; (8) Antologia del Medio Volturno, cit.. p.54; (9) F. Comparone, Vedute sul Matese, pp.99 e sgg; (10) Ivi, p.67 e sgg; (11) Sulla Colombaia, cfr. M. L.  Leonetti, Piedimonte: Piazza Carmine e “la Colombaia”. Il volto della città prima e dopo, “La voce del Borgo”, Marzo, 2014; (12) Alle pagine  109 e 110 de Il cotonificio Egg cit. ,è possibile ammirare due nitide riproduzioni fotografiche delle vedute della Colombaia.

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