Antico Testamento ed Archeologia, un rapporto difficile


Le prove archeologiche dell’anti-storicità dei racconti della Bibbia raggiungono il grande pubblico solo negli anni duemila. Così come la provenienza del Dio di Israele dal pantheon pagano del Vicino Oriente. L’imbarazzante storia di un ritardo accademico. 

All’inizio degli anni 2000 sono apparse agli occhi del grande pubblico delle novità importanti riguardanti le analisi storico-archeologiche e biblistiche dell’Antico Testamento, provenienti dal mondo accademico israeliano.

Possiamo dividere le analisi dell’Antico Testamento in due grandi settori, corrispondenti ad altrettanti ambiti accademici:

a) quello storico-archeologico, che si occupa della verifica della realtà storica dei racconti e riferimenti biblici, forniti dall’Archeologia Biblica;

b) e quello dell’analisi contenutistica, filologica e testuale dei concetti, tradizioni ed elementi di storia delle religioni, in capo alla Biblistica.

Oggi parliamo di Archeologia Biblica. Un modo sintetico per iniziare questa breve panoramica è un articolo (Herzog, Ze’ev, 1999) apparso nella popolare rivista israeliana “Haaretz” nel 1999, dal titolo “Deconstructing the Walls of Jerico“, a firma di Ze’ev Herzog, direttore del Dipartimento di Archeologia dell’Università di Tel Aviv.

Riportando i passi salienti dell’articolo: «Questo è ciò che gli archeologi hanno imparato dai loro scavi nella terra d’Israele. Gli israeliti non sono mai stati in Egitto, non hanno mai vagato nel deserto, non hanno conquistato la terra promessa in una campagna militare, e non l’hanno mai ceduta alle 12 tribù d’Israele. Forse ancora più difficile da digerire è il fatto che la monarchia unita di Davide e Salomone, che è descritta nella Bibbia come una potenza regionale, era al massimo un piccolo regno tribale. E arriverà come uno spiacevole shock per molti che il dio di Israele, Jehovah, aveva una consorte femminile e che l’originale religione israelita adottò il monoteismo solo nel periodo finale della monarchia e non sul Monte Sinai».

Cosa è successo nel 1999 da rendere improvvisamente falsa la narrazione biblica dell’esistenza storica dell’intera identità ebraica sia di popolo che religiosa, per buona parte delle epoche descritte nella Bibbia?

Prima di poter scendere in dettagli sull’argomento, è importante rispondere a questa domanda, legata a spiacevoli circostanze storiche del XX° secolo e come tali necessarie da raccontare.

La risposta circostanziata viene data nel 2001 da altri due archeologi dell’Università di Tel Aviv, con la pubblicazione di un libro semi-divulgativo (Finkelstein, I., Silberman, N.A. 2001) che provocherà molto clamore e riscuoterà molto successo. Dall’edizione del 2001 altri 18 anni di scavi e studi non hanno fatto che confermare e precisare quelle ricostruzioni che in realtà, come illustra il libro citato, erano già note in ambito accademico da molti anni prima degli anni 2000.

Cosa era successo quindi? Perché queste ricostruzioni clamorose arrivavano al vasto pubblico, di certo molto interessato, con tanto ritardo?

Due nomi chiave dell’ambito accademico sono tra i maggiori protagonisti di questo ritardo: un accademico americano di archeologia, William F. Albright, archeologo ed evangelizzatore metodista, ed un archeologo israeliano, Yagael Yadin, capo di Stato Maggiore dell’esercito israeliano dal 1949 e successivamente diventato vice primo ministro di Israele.

Albright si era dedicato in particolare a provare la storicità delle antiche epoche, soprattutto abramitiche, quindi dal II° al I° millennio a.C. Mentre Yadin si era occupato delle possibili prove archeologiche delle epoche del grande regno unificato di Giuda ed Israele del X° sec. a.C., ritenuto precedente storico dello Stato del moderno Israele. I lavori di questi due archeologi si ritrovano in una sintesi divulgativa che viene pubblicata nel 1956, (Keller, W. 1956), nella versione italiana, La Bibbia aveva ragione” del 1957, ottenendo un grandissimo successo e finendo tradotta in ben 24 lingue.

Il successo di questo libro divulgativo, e la catastrofica e disinformativa decisione di continuare a ristamparlo con nuove prefazioni, in Italia ancora nel 2013, rende particolarmente importante segnalare al lettore intenzionato ad approfondire, che il materiale di Archeologia Biblica in circolazione, come moderna stampa, può contenere informazione del tutto errate e smentite da tempo.

Il libro degli archeologi israeliani Finkelstein e Silberman, già segnalato, contiene le puntuali ed archeologicamente documentate confutazioni a questi lavori degli anni ’60, lavori di cui si può tra l’altro anche sospettare la buona fede.

Purtroppo, nonostante già all’epoca ci fossero molti elementi per contestare quelle ricostruzioni, l’autorevolezza e il supporto ricevuti da tali figure, come riporta Finkelstein, permise di tacitare la maggior parte delle voci contrarie, con alcune carriere accademiche stroncate per aver dimostrato pubblico dissenso.

Ma inevitabilmente, già negli ’80, iniziarono ad essere pubblicate critiche e confutazioni pubbliche ed in ambito accademico si cominciò a dismettere quelle ricostruzioni. Solo molto più tardi, come raccontiamo qui, tutto ciò iniziò ad arrivare al grande pubblico.

Una storia che getta l’ombra della vergogna sul campo archeologico, ma che andava raccontata e che deve essere tenuta presente perché tutt’ora pochi ed isolati archeologi biblici, puntualmente smentiti, ed a volte in maniera imbarazzante, tentano ancora di riaprire discorsi sepolti da inoppugnabili evidenze archeologiche.

Bibliografia:

-Herzog, Ze’ev, 1999, “Deconstructing the Walls of Jerico”, Haaretz magazine, Oct 1999;

-Finkelstein, I., Silberman, N.A. 2001, “The Bible Unearthed: Archaeology’s New Vision of Ancient Israel and the Origin of Its Sacred Texts”, Free Press, USA – In Italiano: “Le tracce di Mosé: la Bibbia tra storia e mito”, Ed. Carocci, 2003;

-Keller, W., 1956 “The Bible as History”, William Morrow ed.

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