Rivoluzione romantica


Ho provato a fare come la tipa di New York, ho ballato in terrazzo: il vicino mi ha sbattuto la finestra in faccia. Tre storie di amore durante l’emergenza: chi convive, chi a distanza, chi solo.

Ho provato più volte a buttare giù questo articolo. Avrei dovuto farlo poco prima dell’emergenza Coronavirus, ignara di ciò che sarebbe accaduto, ma ho procrastinato e dopo qualche giorno è scattato il primo decreto. In poche ore si è stravolta completamente la mia routine di abitudini, tutte archiviate a tempo indeterminato. Come per tutti del resto.

Perse una dopo l’altra le cose a cui ero abituata, certezze quotidiane come il caffè con i colleghi o gli allenamenti di kickboxing, durante i primi giorni di quarantena ho iniziato a percepire un distacco emotivo da certi temi, come l’amore, quello di cui parlo in questa rubrica e di cui avrei dovuto scrivere.

Insomma, l’amore è bello ma forse in quel momento non era proprio una priorità. Per questa ragione per giorni è stato molto difficile potermi interrogare sul tema di cui avevo intenzione di esprimermi, il romanticismo.

Così che sono rimasta inceppata come una stampante. Ho capito che era normale, dovevo accettare una nuova realtà, dovevo darmi tempo per abituarmi a nuove abitudini. Mi sono detta: “vediamo un po’ come la prende il mondo là fuori, magari ne escono fuori considerazioni insolite, proprio come il momento storico che stiamo vivendo”.

In effetti devo dire che il mio saper aspettare ha portato una ventata abbastanza “esotica” al mio pensiero molto mainstream sul romanticismo defunto. Pare appunto si dica che il romanticismo sia morto. In effetti, come spiego sopra, era questo il mio approccio poco prima di scrivere questo pezzo.

Forse è anche la ragione che mi ha portato a non scrivere prima di adesso. Sia perché non mi piace essere “estremista”, sia perché avevo bisogno di un po’ di speranza, di un po’ di luce.

Insomma, in un periodo così di m***a – perché ce lo possiamo dire, che è un gran periodo di m***a – non potevo sovraccaricare lo scompartimento ansia del mio cervello anche con le idee sul romanticismo “abbandonato per sempre” (e non per il Coronavirus).

Per fortuna il web è pieno di gioie, soprattutto in questo periodo. Così tra un meme e un altro nella home di Facebook appare l’illuminazione. Un video (lo avrete visto anche voi) di un tipo che da un balcone di New York decide di corteggiare la tipa del palazzo di fronte, di cui si innamora a prima vista vedendola ballare in quarantena. Così le manda un drone e si danno appuntamento in videochiamata per un aperitivo a lume di candela sui tetti. Happy ending per quanto ci è dato sapere.

Vabbè, che la location aiutava e il drone anche, ma comunque finisco di vedere il video e penso subito: “allora il romanticismo non è morto”, forse è nascosto, o ne abbiamo una visione distorta.

Non starò qui a filosofeggiare sul significato di romanticismo. I miei non sono articoli di divulgazione scientifica o antropologica, sono storie di vita vera, vissuta e percepita.

Per questo, proprio come se fosse l’analisi di un esperimento sociale, ho preso un campione di gente (i miei autorevolissimi amici), una domanda, carta, penna e mi sono cimentata nel chiedermi e nel chiedere cosa volesse dire essere romantici ai tempi della quarantena.

Mi incuriosiva capire come la vivessero gli altri (ma anche io, solo che una persona non fa numero di indagine), soprattutto in un momento come questo che ci pone a farci tante domande e ad escluderne altre.

Quest’ultimo caso, ad esempio, è quello di alcuni miei amici coinvolti nell’analisi qualitativa dell’esperimento sociale che, alla mia domanda sul romanticismo in quarantena, hanno offerto il loro contributo con: Gio, ma che ne so, io sto a pensa’ a me. Ci sta, non tutti si pongono gli stessi dubbi, ma per fortuna c’è chi come me certe domande se l’è fatte.

Vi racconto quindi la vita reale dell’amore in quarantena attraverso 3 casi, frutto della trascrizione e dello sbobinamento delle interviste effettuate ad un campione amici.

2 CUORI E UNA CAPANNA

Il romanticismo non ha bisogno di gesti eroici, ma di genuinità.

Questa è la storia delle coppie rimaste insieme in quarantena. L’amore è bello ma non corrisponde esattamente all’avere le farfalle allo stomaco (quello è l’innamoramento). Spesso amore significa ingoiarsele quelle farfalle e accettare l’altro.

L’amore ha bisogno di spazi, tempo ed individualità, pressoché quello che la quarantena ci ha tolto. Condividere spazio, tempo e il proprio io costantemente con l’altro, 24/24 ore, non è roba facile e ha posto molte coppie in seria difficoltà.

Qui però voglio parlarvi di una coppia che ha superato eroicamente questa sfida con un tocco di romanticismo, senza esagerazioni, perché non bisogna sorprendere con gesti eroici, ma con atti di immensa genuinità.

Una mia amica ad esempio ha organizzato una “festa a sorpresa di compleanno” per il suo fidanzato. Non è stato facile riempire la stanza di palloncini senza destare sospetti. Un gesto che ha sicuramente incrementato le sue skills da “Occhi di gatto” con un lieto fine.

Un compleanno celebrato tra i colori dei palloncini e il sapore delle cose semplici cucinate in casa. Una storia semplice che mi ha insegnato una cosa: non importa in che circostanze ti trovi, se vuoi creare momenti speciali trovi il modo per farlo e renderli memorabili in tutta la loro semplicità.

RENZO E LUCIA

La distanza che fa male al cuore.

Coppie costrette a rimanere separate, lontane millemila chilometri, viaggi cancellati, ci vediamo presto, ma quando?

Chi è rimasto solo ma in compagnia dell’altro a distanza, soffre l’impossibilità di avere accanto qualcuno in un periodo in cui un abbraccio vale più di mille parole. E forse sapere che avresti qualcuno da abbracciare, qualcuno con cui piangere, qualcuno con cui sentirti al sicuro, ma non puoi, è la sfida più grande per le coppie a distanza.

Tra i mille “se”, del tipo “se solo avessimo trovato prima il modo di stare insieme”. O i mille “ma”, del tipo “ma quando ci rivedremo”, la cosa più difficile è fare pace con tutti i sensi di colpa nati dall’essere distanti in un momento così.

Nessuno si salva da solo, dicono. Non la vedo così personalmente, solo che in due è più bello. Per quanto le emozioni di un abbraccio siano insostituibili, le coppie lontane hanno trovato, tra i se e i ma, i modi per essere vicine.

Rispolverare vecchie foto progettando nuovi momenti insieme, regalare un delivery di cibo a distanza, cenare a lume di candela su Skype, mantenere vivi i sogni e il desiderio di toccarsi ancora.

C’è chi invece ha rimesso in discussione tutto, perché la distanza forzata ha messo a galla quello che non si era visto prima, o non si voleva vedere. C’è chi ha dunque deciso di salvarsi da solo, perché nell’altro non ha più riconosciuto un porto sicuro o semplicemente non ne ha sentito la presenza per come desiderava.

Copio e incollo una citazione che cade bene con la situazione: “Mi accorgo che correndo verso Y, ciò che desidero non è trovare Y al termine della mia corsa: voglio che sia Y a correre verso di me. Questa è la risposta di cui ho bisogno, cioè ho bisogno che lei sappia che io sto correndo verso di lei, ma nello stesso tempo ho bisogno di sapere che lei sta correndo verso di me”. 

FOREVER ALONE

Io speriamo che me la cavo.

I forever alone sono per lo più confusi dallo scenario post quarantena. Che ne sarà, dopo tutto questo, dell’amore? Ci abbracceremo ancora? Si certo, ma come? Come e dove ci incontreremo?

Insomma, si fa fatica a superare giorni di astinenza forzata, ma soprattutto l’idea che non possa accaderti qualcosa di bello, così per caso, uscendo di casa. La cosa più emozionante che può accaderti in quarantena è chattare con qualcuno incontrato per caso su Facebook, incrociare gli occhi ammiccanti di uno sconosciuto al supermercato, senza poterne scorgere il sorriso, sorridere a distanza al vicino o alla vicina di balcone.

Rimane comunque l’impossibilità di muoversi, di trovare una collocazione spazio-temporale ai desideri di vedere e toccare qualcuno. Ma rimane comunque bello conoscere qualcuno di nuovo in queste circostanze. Si riscopre una nuova intimità.

Eravamo abituati ad appuntamenti in cui si puntava ad apparire perfetti e indistruttibili. Adesso invece gli appuntamenti virtuali sono fatti di condivisione di paure e domande. Però si sogna, forse più di prima. Si sogna la fine di tutto questo, la voglia di correre verso l’altro per toccarsi.


Infine mi sento di poter dire che da tutte queste storie ho capito che l’amore è universale e il romanticismo non è morto. Perché anche se queste storie sono diverse, ci sono sentimenti comuni che ognuno di noi ha provato in quarantena, stando in coppia o no. Il bisogno di un abbraccio, ad esempio.

Abbiamo avuto bisogno di amare, anche semplicemente noi stessi, abbracciando il cuscino. In quanto al romanticismo, credo che l’approccio giusto sia adottarlo come stile di vita, anche solo regalando un sorriso ad uno sconosciuto. Spero che ne nascerà una bella rivoluzione romantica dopo tutto questo, fatta di gesti di amore verso sé e l’altro. Perché è tutto questo che ci ha fatto comprendere il valore di certi gesti.

Infine, tornando al video dei balconi di NY, ho provato più o meno a fare lo stesso esperimento sociale con il vicino di fronte, ma senza drone. Risultato? Balcone chiuso in faccia.

Avevo già predetto ad un’amica la fine della storia dicendole che per gente come me, se mi affaccio al balcone al massimo mi c**a un piccione in testa.

Però alla fine penso che l’amore ha il suo tempo e se non ci ha ancora trovato è proprio perché ha ancora bisogno di tempo per renderci pronti a questa avventura, fatta di farfalle allo stomaco e di farfalle da ingoiare.

Nel frattempo pratichiamo il romanticismo come buona abitudine quotidiana e ricordiamoci che l’amore salverà il mondo (perché c’è l’amore dietro le cose più belle).

Immagine: foto di Valeria Pitarresi

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