Mefistofele a Genova!


Intervista a Max Manfredi e Lucia Vita. La suggestione del Goethe con l’opera teatrale del 19 maggio. MEFISTOFELE 2.0: un contrafactum.

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Il regista Max Manfredi e l’attrice Lucia Vita presentano “Mefistofele”, lo spettacolo che debutterà il prossimo 19 maggio a Genova presso il Teatro Garage. Il genovese Massimo Manfredi alterna l’impegno di musicista a quello di poeta e regista teatrale, vantando una solida esperienza internazionale.

Il suo spettacolo “Mefistofele” offre uno sguardo innovativo, reinterepretando il tema di Faustus in una chiave più prossima alle origini dei testi tedeschi e innovando l’interretazione scenica secondo un nuovo approccio sperimentale che trasuda di musica e posia quasi a scandirne il ritmo.

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Intervista a Max Manfredi

Hai incominciato a suonare la chitarra giovanissimo, già all’età di 7 anni, componendo poi le tue prime canzoni a 13 anni. Com’è avvenuta poi la transizione alla regia di compagnie filodrammatiche?

I primi rudimenti della chitarra me li insegno’ mio fratello maggiore. Poi ho suonato tanto e ho imparato tante canzoni. Mai diventato un virtuoso dello strumento, ma per lunghi decenni ne sono stato un vizioso. E’ così che mi son messo a fare canzoni a tredici anni, prima per imitazione, poi perché mi piacevano davvero, e più di quasi tutte le altre.

Quanto alle filodrammatiche, furono un portato della scuola, che aveva un teatrino. Io e altri avevamo tanta passione. Ho proseguito con compagnie paraprofessionali e professionali, ma quello che davvero mi interessava e mi interessa e’ concertare il teatro come una possibilità .

Sin dai tuoi esordi come musicista ti sei ritrovato a confrrontarti con illustri cantanti, ottenendo presto il riconoscimento di Fabrizio De Andrè che ti ha definito “il più bravo” tra i cantautori italiani.

Fabrizio lo ascoltavo da bambino. Ci siamo conosciuti molto tardi. E’ lui che mi ha proposto di ospitarlo in un mio disco. Mi sarebbe piaciuto conoscerlo meglio e avviare una collaborazione con la sua presenza in veste di produttore, ma non c’è stato il tempo.

Il giudizio di De Andrè è stato poi riconosciuto istituzionalmente talento tant’è che nel 1997 la Regione Liguria ti ha conferito il premio come “capostipite della nuova generazione dei cantautori genovesi”. Ma il tuo percorso artistico è molto variegato come dimostra la pubblicazione del Libro dei Limerick per Vallardi, che contiene anche un saggio sul nonsense di Paolo Rinaldi. Poi come attore hai svolto diversi reading di poesie, tue e soprattutto dei tuoi autori preferiti, da Dante a Gozzano, da Pascoli a Petrarca. Un percorso insolito in una società iperspecializzata e tendente alla ricerca di una cultura che si distacchi dalla tradizione.

Quando uno si muove, i premi li prende. Questa e’ proprio la radice di “arte”, lo stesso etimo di “arto”, il movimento. Ma e’ un movimento che riguarda la poesia, la poiesis, il linguaggio, anzi, i linguaggi non immediatamente funzionali.

La canzoni si muovono in equilibrio fra due codici, la lingua verbale e quello musicale. Si aggiunga l’interpretazione et voilà , il teatro. Lirico o meno, comunque musicale.

A breve, dopo un lavoro trentennale di ricerca e di scrittura, porterai in scena una reinterpretazione di Mefistofele. Da dove nasce l’interesse verso questo testo?

Sto impastando e distillando questo testo da decenni, e solo di recente ho avuto la possibilità e soprattutto l’energia di realizzarlo un paio di volte.

In questo assomiglio a Goethe, che comincio’ ad occuparsi del tema faustiano da ragazzo e se lo porto’ dietro tutta la vita, fino all’opera monumentale che tutti conoscono e che qualcuno ha anche letto.

Goethe funge da sublime pizzaiolo della grande letteratura e della lirica, portando la sua “Margherita” (e il suo plot) a quasi tutti gli autori successivi.

La tua lettura scenica assume una “dimensione” quasi Beckettianae. Puoi spiegare le ragioni di questa scelta registica? 

Ho usato un metodo che richiama l’Angelus novus di cui parla Walter Benjamin, una visione rovinosa del tempo, dove il presente non e’ che un tapis roulant che porta verso il futuro uno sguardo che, come nella terra desolata di Eliot, si nutre delle rovine del passato.

Togliendo dal Faust di Marlowe tutte le scene comiche, quelle tragiche chiaramente non possono appoggiarsi più a nulla. Il teatro dell’assurdo diviene l’assurdo del teatro. Più nessun compito di attualizzazione, dunque, o pedagogico. Non viene neppure raccontata una storia. Semplicemente, il teatro avviene.

Quando si pensa al Faust si pensa al testo di Goethe, ma il tuo adattamento sembra affondare qualche secolo indietro, alle origini dei testi tedeschi. Che cosa offrono in più questi testi e la tua interpretazione rispetto alla versione più conosciuta di Goethe?

Come Goethe, Marlowe viene a conoscenza dell’argomento faustiano attraverso le compagnie vaganti dei burattini. Queste, a loro volta, si fondano sul canovaccio di un libro edito da Spies alla fine del ‘500, uno dei primi a essere stampato. Marlowe ne legge una traduzione, e scrive il suo. I grandi temi letterari son come le ricette: difficile trovare quella originaria, disponiamo solo di documenti.

E nella tua interpretazione il tema di Faustus viene ridotto al minimo, cioè alla lettura scenica del testo marlowiano, ricordando di fatto il teatro dell’assurdo, in un’un’opera  intrisa di musica e di musiche, che assomiglia a una lettura scenica senza esserlo, trasudando di fantasmagorie e di brani di pure poesie.  Possiamo definire la tua regia sperimentale, e che cosa vorresti lasciare nel ricordo del pubblico?

Sono convintissimo che la parola “sperimentale” abbia avuto, negli ultimi decenni, uno slittamento di significato. Prima voleva dire: “faccio questo perché non l’ha ancora fatto nessuno”. Oggi, “sperimento questa tecnica perche’ancora non l’ho fatto”.

In pratica il concetto di sperimentalismo e’ passato da transitivo e intransitivo. E questo e’ un bene, perche’ rende vecchia e frusta ogni definizione apodittica di estetica (manifesti vari, etc.).

A onor del vero, resta una questione. La tecnologia progredisce, e le arti ne fanno uso. Ci son state resistenze anche quando il teatro adotto’ l’illuminazione elettrica e, di conseguenza, dovette rinunciare ai fondali dipinti e, per dirla con Gordon Craig, “pitturare con la luce”. Le tecniche vanno avanti, e le arti le “sperimentano”. Ma questo avviene in ogni campo. Non e’ il punto focale. Quello si può solo inseguire.  L’arte e’ anche questo inseguimento.

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Intervista a Lucia Vita

Lucia, dopo un’esperienza trentennale che ti ha visto impegnata in spettacoli teatrali anche all estero, ti vedremo a breve al teatro sotto la regia di Max Manfredi. Perché, secondo te, lo spettatore dovrebbe vedere  un nuovo adattamento di Mefistofele?

Innanzitutto è per me un grande piacere essere intervistata da te riguardo il Mefistofele, è per me una grande emozione  tornare in scena dopo otto anni dalla prima rappresentazione con Max Manfredi del suo “Faustus”, tratto da Marlowe e rivisitato da Max, una messa in scena completamente diversa alla quale ho partecipato in più repliche con grande emozione, diciamo che  questa versione non è un adattamento anzi il contrario, è un inadattamento, un disadattamento, il pubblico curioso e attento che ha seguito la versione del Faustus sarà ancora più curioso di scoprire questa nuova versione (speriamo) comunque vada sarà per noi una soddisfazione aver partecipato a una cordata e aver respirato un po’ d’aria d’alta quota.

L’ azione scenica verterà su un dialogo continuo, duetti che mutano in monologhi a due tra Faustus e il suo demone personale, Mefistofele, interrotto, tagliato e interdetto da Scolari, Angeli e Diavoli così come da fantasmi femminili. In particolare la presenza di un mimo che sussume, attraverso il movimento e le maschere, tutte le parti dei demoni, mi sembra richiamare la rappresentazione carnascialesca del Teatro barocco tedesco.

Questo spettacolo si avvicina molto al “Fastnachtspiele”, ed è proprio durante la festa del carnevale a Wittenberg che avviene la resa dei conti Faustiana, tutto il nostro spettacolo potrebbe svolgersi in questa notte. Tutto potrebbe essere uno scherzo Goliardico, il carnevale è il portale di passaggio  tra i vivi e i morti. Un luogo sospeso dove le maschere prendono il posto che manca ai volti. Angeli (nel mio caso uno solo, esemplificato da un cappellino bianco che metto e tolgo per distinguerlo dall’Old man il predicatore che vuole convertire Faustus, cioè ricondurlo nei solchi del testo.) demoni, cadaveri che festeggiano un cielo ineluttabilmente assente e un inferno troppo presente per essere credibile.

Che cosa pensi del connubbio di comico e tragico che Max Manfredi ha creato sapientemente attraverso momenti di sfida, duello e resa dei conti, attraverso momenti di rimpianti e riflessioni.

Max Manfredi è una mente oltre… speriamo di portare questo spettacolo in giro per l’Italia e perché  no anche all’estero il più possibile, abbiamo creato un significativo team di lavoro con cinque attori in scena rispettivamente: oltre me nel ruolo di Old Man e Good Angel, Manuela Boni nel ruolo di Elena , Max Manfredi “Mefistofele”, Gianmaria  Romagnoli “Faustus”, Il mimo Fabio Bonelli  nel ruolo dei wagner e Demoni. Tecnico luci e suoni Osvaldo Giordano, il trucco affidato alla makeup Artist Barbara Marano, una grande squadra.

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