Il rispetto degli equilibri climatici. Diritto primario degli uomini umani.

 Il rispetto degli equilibri climatici. Diritto primario degli uomini umani.

“Human Rights”, un’Istituzione che da anni opera con l’Unesco, ha coinvolto gli artisti di 36 paesi del mondo, con oltre 200 opere esposte. Tra loro, Roberto Ronca e Debora Salardi, ideatori e curatori di “CLIMA”. Considerazioni sull’iniziativa terminata a dicembre.

Questa volta, a Rovereto, la chiamata alle arti ha attivato il concorso privilegiato di tanti sensibili uomini umani, artisti, tutti poeti quindi, che abitano la terra per esserci in un progetto di consapevole globalizzazione, dato che è in gioco il diritto alla vita sul pianeta.

“Human Rights”, un’Istituzione che da anni opera con l’Unesco, ha affidato agli artisti di 36 paesi del mondo, con oltre 200 opere esposte, il compito di affrontare nelle arti visive il problema degli squilibri climatici e questa nota vale a sintetizzare, quasi a commento, la lezione che ci viene dalla veggente sensibilità di artisti accuratamente selezionati, per cui le loro evidenze visive si potrebbero considerare pagine di un’antologia tematica attualissima.  

Il profitto estremizzato di pochi, parliamo di potere economico e di supremazia in armi, ha certamente accelerato quei processi che confluiscono nell’irreparabile. Un tempo i luoghi di massima modificazione erano quelli in cui si realizzavano i sogni, perché proprio in quelli si attivava il progetto per il tempo della continuità e, la Sapienza progettuale, sapeva come gestire i rapporti tra la logica incrollabile e le istanze della vita.

Nello stesso progetto, infatti, s’inveravano topia e utopia e quindi, fatte salve le preesistenze, nei luoghi di massima modificazione al punto di non ritorno, il possibile, certificato, consentiva di rendere vicinanze tattili quelle che poeticamente, si identificavano come lontananze intuitive.

Nella progettualità, diventava tangibile quello che veniva prospettato per il futuro in un’operazione di taglio e ricucitura, per cui, l’uomo aveva la possibilità di felicitare. Questo verbo è molto importante, perché tutto ciò che viene portato a buon termine, verifica un processo di fertilità, che dal seme conduce al nuovo frutto e gratifica, perché nuovi semi propone. In questo processo ha senso l’aggettivo felice, che significa fertile.

Tutto questo fino a quando i cantori della storia potevano esaltare gli accadimenti che, nell’azione innovativa, aprivano nuovi sentieri e davano vita a realtà mai sperate. Quelle, comunque, avrebbero attraversato splendori stupefacenti, apici di civiltà orgogliose e, inevitabilmente, nel loro declino avrebbero affrontato, quell’età progettuale che, come già abbiamo detto, ereditate le preesistenze, avrebbero, proprio da quelle, proiettato il sapere creativo verso nuove costruzioni.

È chiaro a tutti, che il nuovo e il buono, sono necessariamente inseparabili: determinano parametri di spostamento di pensiero che evocano un nuovo modo di esserci al mondo.

Così, la Cultura della Civiltà, tiene viva la vita e sostiene quell’etica dell’attraversamento, che da una condizione di sopravvivenza, muove verso il divenire vivente, cioè una storia che produce cambiamento, nel senso gramsciano. Gli uomini storici, che creano eventi reali, acquisiscono maturità e determinano quei mutamenti necessari ad affrontare le circostanze per combattere la battaglia della vita, che assicura agli uomini umani, l’appartenenza al tempo della continuità, cioè la vera eredità che meritano le nuove generazioni.

In una sintesi certamente troppo serrata, ho cercato di chiarire perché è, a immagine e somiglianza, l’uomo di carne e di intelletto, consapevole che i suoi attraversamenti sono tra misteri e certezze. Queste ultime sono certificate dalla scienza, le cui quotidiane conquiste ci consentono di essere consapevoli dei limiti reali dei viventi evoluti.

Ma quei limiti si propongono come soglie per le successive conquiste, le quali hanno il privilegio di essere più rapide con l’ausilio della tecnologia.

Il dramma, non chiamiamolo problema, muove verso l’acme delle tragedia, quando la scienza, nella sua baldanza d’autonomia, proclama la sua vittoria nell’essersi sostituita alla natura.

Da quella supponentissima insensatezza cominciano sulla Terra gli attentati alla vita che, intanto, per gli uomini tecnologici, cibernetici e robotici si è prolungata in quantità temporale, senza che a questa importante estensione sia stata, nel contempo garantita, un’adeguata qualità dell’esistenza. Appena ieri, tra gli eccessi a tutto tondo che hanno caratterizzano il secolo breve, la relatività, le geometrie non euclidee, il sogno delle mete interstellari, hanno determinato una svolta epocale che ha avuto, come conseguenza, la caduta verticale di tutti i capisaldi sui quali si era fondato l’ubi consistam della vita sulla terra. In un universo che si espande linearmente non sarebbe stato possibile ipotizzare nessun centro; non valevano più i perimetri, e, quindi, le definizioni; non aveva senso la forma, in una evoluzione metamorfica, e non aveva neppure senso la predestinazione.

Il bombardamento dell’atomo democriteo, intagliabile, consentiva intanto di ragionare in termini di energie scatenate a scandagliare spazi altrove. Nel senso del tempo, il trionfo dell’attimo, sanciva l’imminenza: la spada di Damocle, sempre lì a farci ricordare che il rischio era dovunque e che era sempre più difficile ipotecare il futuro.

Fino a quando le crisi si limitavano agli spazi e ai Luoghi di massima modificazione, la progettazione consentiva, come è prerogativa dell’Architettura, di realizzare una metamorfosi del tempo in uno spazio praticabile. Poi, in accelerazione geometrica, la crisi si è estesa a tutto il pianeta e, proprio dove si auspicava il divenire vivente, l’orizzonte è stato dominato dalla necessità di sopravvivere.

Le quattro radici della vita, separate o mescolate, meglio dire confuse, si sono fatte ostili. La mano dell’uomo, sconsideratamente ha incendiato, avvelenato, inquinato, desertificato.

Francesco, vanamente invocherebbe sorella acqua, frate focu, madre terra e quell’aere che, variando nelle stagioni, assicurava la fertilità. Le voci che gridano nel deserto, anche se garantite dalla scientificità, sono state sempre sottovalutate e, via via, il malvezzo di prendere tutto alla leggera, ha deriso quelle strutture di comunicazione che venivano contraddette, proprio perché altri interessi di parte erano intenzionati a prevalere, a sperimentare armi belliche per una sempre più estesa distruzione.

Alla fine, eccoci a toccare quei mali che, alterando gli equilibri dei regni della natura, ne sovvertono le tenute a lungo termine e con un effetto domino, stravolgono anche quei difficilissimi dialoghi tra le sorgenti, i fiumi, le rocce, i percorsi sotterranei delle acque che cercano le vie del mare.

Comunque diano respiro e dimensioni vitali alle creature della terra, i quattro elementi hanno necessità di trovare le armonie conquistate nel corso di millenni di millenni. Solo dove l’umanità rispetta quelle armonie, riesce a risolvere le problematiche della vita quotidiana.

L’antica meraviglia per il Creato, è stata sostituita dai consumi esasperati. La lode dell’ordine e della bellezza si è trasferita sempre più raramente, in poesia e la retorica non consente di far percepire più gli effetti di quei beni naturali che danno senso ai ritmi delle stagioni.

Si è perduta la nobile lezione del saper transitare dall’energia che singhiozza nella forma e attraversa le quattro stagioni che alimentano il Creato e tutto ciò che natura produce. Natura come participio futuro del verbo nascor, indica tutto ciò che sta per nascere, che vive poi, per attraversamento e giustifica, nell’armonia, anche le uscite dal mondo.

Le complicazioni determinate da energie disgregatrici incontrollabili, non ci consentono più di verificare come l’arte di Madre Natura si sia saputa sviluppare in quelle totalità armoniche che tengono viva la vita con la complicità di tutto ciò che esiste.

È innegabile che, nel cuore del caos c’è un principio di bellezza e di ordine: dentro la vita c’è la vita. Questo assioma però, non garantisce ai viventi del nostro tempo di sperare in quelle armonie che, chissà quando, come e dove, potranno proporsi ad una novella coppia edenica. Alla terra degli scompensi inclementi, secondo la scienza che si affretta a progettare nel progetto e invoca recuperi forzati e inversioni di tendenze, resta un imprecisato tempo da vivere.

Roberto Ronca e Debora Salardi, ideatori e curatori di CLIMA, che avevano già realizzato SEVEN, i sette percorsi d’arte attraverso i peccati capitali, hanno, nel contempo, affrontato il tema scottante dei Diritti Umani.

Li hanno investigati, precisati, attraverso l’arte, che propone saggezza anche quando esercita la più sferzante ironia. Non si sono avvalsi dell’ausilio degli esperti esercitati alla retorica, che afferma in un notiziario quello che viene negato nel successivo. Non hanno chiesto il contributo di quei cultori delle notizie contraddittorie e delle opinioni a confronto di trattare con leggerezza o di vaticinare disgrazie estreme, addensando nubi e dubbi nelle teste degli indaffarati e dei distratti.

Questa volta hanno escluso i cultori delle notizie contrastanti e delle opinioni a confronto, che fanno sembrare il personaggio di Collodi un dilettante, anche perché i loro nasi non si allungano e, in questo, non sono favoriti da madre natura, oppure sono tutelati perché, anche sapendo di mentire non possono essere scoperti.

Roberto e Debora si sono rivolti agli artisti, che sono i più adatti a parlare con gli esseri umani e sanno, come afferma Kennet White, che una cieca genericità è ripugnante; mentre è dote umana seguire “la via della vera scienza che è l’inizio della poesia“.

Gli eletti maestri delle arti visive si sono rivelati concordi nella consapevolezza, che lo spazio vitale è prioritario per quelli che si propongono al diritto di vivere.

Il CLIMA è il diritto da difendere per non essere condannati all’estinzione. L’arte non guarda solo agli aspetti sinistri e spaventosi che la scienza propone analizzando le cause. L’arte, prima di sperare in un contesto cosmico, verso cui viaggiare e allontanarsi dalle asfissie e dalle congestioni di quello umano, non ha mai smesso di ricordare che c’è stato un tempo in cui i fiori erano paragonati ai gioielli più preziosi.

L’arte sorride alla tecnologia, che propone di disinquinare la terra, totalmente inquinata con l’ausilio di macchine inquinanti. Gli artisti non sono propensi a considerarsi emigranti verso pianeti che altrove li attendono. Con la loro fertile fantasia, saprebbero inventarsi un mago, che geneticamente, potrebbe trasformarli per rendere più agevole il viaggio verso lontananze inimmaginabili. 

Intanto ogni opera si coniuga all’altra con preziosa dote di umanità, avvalendosi di quel silenzio contemplativo che aiuta a intuire, meditare, pensare di vivere la terra, secondo un nuovo modo d’esserci al mondo.

Indietro non si torna, ma una rilettura delle cose della natura, fatta con l’ausilio degli strumenti che la scienza della tecnologia ha messo a punto, potrebbe farci conoscere dei segreti che farebbero tutto nuovo lo spazio offeso in tutte le sue dimensioni. Potrebbero i nostri eredi meritare di vivere una vita piena, acquisendo la consapevolezza di esserci, sulla terra e di appartenerle con il cuore del figliol prodigo che torna alla ricchezza d’amore della casa materna.