Il regista americano più originale, Stan Brakhage


Inizialmente deriso negli anni ’50, poi celebrato una decina d’anni dopo: “un’intelligenza e una sottigliezza che di solito è la provincia delle più antiche arti”. I suoi primi film si ispirano alla visione antropologica della Deren, tra le maggiori studiose al mondo del Vodou di Haiti. Tra le altre ispirazioni troviamo le autopsie e la Divina Commedia.

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Sebbene oggi poco conosciuto al grande pubblico, Stan Brakhage è stato definito da John Mekas “uno dei quattro o cinque artisti cinematografici più autentici che lavorano nel cinema”, e soprattutto “il regista più originale in America”. Le sue opere sono ancora oggi poco diffuse nel circuito mainstream, ma tra gli studenti di Brakhage  troviamo Matt Stone e Trey Parker, meglio conosciuti come i creatori di South Park, e le sue opere hanno influenzato grandi registi: “L’ultima tentazione di Cristo” (1988) di Martin Scorsese utilizza lo stile cinematografico dipinto di Brakhage per rappresentare la morte di Gesù sulla croce, i titoli di coda del film “Seven” (1995) di Dave Fincher, con la loro emulsione graffiata, i rapidi spaccati e le esplosioni di luce sono nello stile di Brakhage, e ancora “The Tree of Life” (2011) di Terrence Malick e la parte 8 di “Twin Peaks: The Return” (2017) includono sequenze che ricordano l’opera cinematografica di Brakhage.

Quando i suoi primi film furono proiettati negli anni ’50, il pubblico rispose con un atteggiamento di derisione, ma all’inizio degli anni ’60 il regista iniziò a ricevere riconoscimenti in mostre e pubblicazioni cinematografiche, tra cui il critico e regista sperimentale Jonas Mekas che riconobbe a Brakhage di avere portato al cinema “un’intelligenza e una sottigliezza che di solito è la provincia delle più antiche arti”.

I primi film di Brakhage richiamano la visione di Maya Deren, ma al suo idealismo cerebrale si sostituisce una versione più cruda e psicologizzata della realtà che evidenzia il conflitto tra desiderio-sogno e realtà, e quindi con “Reflections on Black” (1955) immagina la visione onirica di un cieco mentre che attraversa una città, sale le scale del suo condominio e arriva a casa. Brakhage segnala la cecità del suo protagonista facendogli grattare fisicamente gli occhi e unendo pezzetti del negativo per trasmettere il senso dell’esperienza del mondo come potrebbe fare un cieco, non come qualcosa di visto, bensì di raffigurato. Il regista ha dato così vita a un tipo di cinema completamente nuovo, intervenendo sulla natura della relazione tra l’immagine in movimento e il mondo, e sulla sua rappresentazione.

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In “Anticipation of the Night” (1958) si vede la prima espressione chiaramente articolata di Brakhage del suo concetto di visione dell’occhio non istruito, catturando l’esperienza grezza, attraverso un film di quaranta minuti la cui sceneggiatura consiste in un elenco di sedici concetti, piuttosto che inquadrature specifiche. “Anticipation of the Night” cattura la qualità onirica dell’esperienza grezza, il mondo così come accade e viene accolto e compreso.

Seguiranno “Window, Water, Baby, Moving” (1959), un documento della gravidanza della moglie Jane e della nascita del loro primo figlio. La famiglia e i rituali della vita familiare sono diventati per molti anni i temi predominanti dei film di Brakhage. Nascita, sesso e morte sono le tre pietre miliari di tutti i suoi film. In “Thigh, Line, Lyre, Triangular” (1961), Brakhage documenta ancora una volta la nascita di uno dei suoi figli, e il loro passaggio attraverso l’infanzia. Ancora molti dei film di Brakhage si concentrano sui rapporti sessuali, non solo tra un uomo e una moglie, ma anche tra amici, e sugli aspetti proto-sessuali dell’infanzia. In altri film esamina i rituali che circondano la morte e il corpo che rimane dopo che l’essere se n’è andato: “Sirius Remembered” (1959), che documenta la graduale dissoluzione del cadavere del cane di famiglia, e “The Dead” (1960), girato nel cimitero di Père Lachaise a Parigi, prefigurano diversi film successivi che ritornano su questo stesso tema.

Grazie pure al contributo dello scrittore e critico Guy Davenport, che l’avrebbe invitato all’Università del Kentucky cercando di procurargli una residenza lì, dal 1961 al 1964 Brakhage ha poi lavorato a una serie di cinque film noti come il ciclo “Dog Star Man”, che nel 1992 sarà incluso nella sua interezza nella selezione annuale dei venticinque film aggiunti al National Film Registry della Library of Congress per essere considerati culturalmente, storicamente o esteticamente significativi e raccomandati per la conservazione.

Descritto come un’epopea cosmologica e un mito della creazione, in particolare “Prelude”, “Dog Star Man” illustra l’odissea di un boscaiolo barbuto, interpretato dal regista stesso, che si arrampica su una montagna innevata con il suo cane per abbattere un albero. Mentre lo fa, assiste a varie visioni mistiche con varie immagini ricorrenti come una donna, un bambino, la natura e il cosmo durante la sua ascesa. La maggior parte delle immagini che vediamo nel preludio ricorrono nel resto della serie di film, creando un leitmotiv visivo di simboli e concetti che esemplificano la creazione dell’universo. Poi, in “Part I” assistiamo al boscaiolo che lotta con il suo viaggio su per la montagna insieme al suo cane. A differenza del preludio, dove ci sono molti esempi di immagini sovrapposte che sono più astratte alla vista, qui la montagna assume un valore simbolico prevalente, la rappresentazione ha un timbro più impressionista, e le parti principali del film sono al rallentatore.  In contrasto con i lunghi tempi di esecuzione dei film precedenti, “Part II” inizia una serie di segmenti più brevi che vanno da circa 5-7 minuti. Il suo focus centrale è sulla nascita di un bambino che è stato girato su pellicola in bianco e nero come parte dei film casalinghi di Brakhage, e stilisticamente le riprese del parto in un modo quasi documentaristico sono abbastanza simili a “Window Water Baby Moving” con due strati di immagini che si sovrappongono, suggerendo che la vita del boscaiolo passi davanti ai suoi occhi.

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Sarà poi a seguito del furto dell’attrezzatura cinematografica da 16 mm che stava usando, che Brakhage optando per l’acquisto di un’attrezzatura per pellicole da 8 mm, ben più economica, producendo, dal 1964 al 1969, un ciclo di trenta parti di film in 8 mm conosciuti come “Songs”, che include uno dei film più acclamati di Brakhage, “23rd Psalm Branch”, considerato dallo storico del cinema P. Adams Sitney come “l’apocalisse dell’immaginazione”, un film che il regista realizzò come risposta alla guerra del Vietnam e alla sua presentazione nei mezzi di comunicazione di massa.

Brakhage ha esplorato nuovi approcci al cinema negli anni ’70. Nel 1971 ha completato “The Pittsburgh Trilogy”, un set di tre film ispirati alle istituzioni pubbliche della città di Pittsburgh: “Eyes”, sulla polizia cittadina, “Deus Ex”, girato in un ospedale, e “The Act of Seeing with One’s Own Eyes”, che descrive l’autopsia.

“The Act of Seeing with One’s Own Eyes”, che si basa sulla traduzione letterale del termine autopsia, documenta le procedure di autopsia utilizzate dai patologi forensi, come la rimozione degli organi e il processo di imbalsamazione, rivelandosi come uno degli scontri più diretti con la morte mai registrati in un film. Nel corso di un’autopsia, la pelle intorno al cuoio capelluto viene tagliata con un bisturi e, in preparazione per l’esposizione e l’esame del cervello, la faccia di ogni cadavere viene letteralmente staccata, come una maschera, rivelando la carne cruda sottostante, ma soprattutto l’inevitabilità della morte e la gioia di essere vivi.

Brakhage si rivela quindi come un documentarista della soggettività che usa le tecniche cinematografiche per conferire forma alla sua vista quasi voglia sensibilizzare lo spettatore verso la propria soggettività. In particolare lo stile del film muto consente agli spettatori di formare le proprie interpretazioni e giudizi sull’argomento, mentre con questo studio curioso e inquietante fa l’affermazione più schietta sulla condizione umana mai filmata.

Nel 1974, Brakhage ha realizzato il lungometraggio “The Text of Light”, composto interamente da immagini di luce rifratta in un posacenere di vetro. Nel 1979 sperimenta Polavision, un formato commercializzato da Polaroid, realizzando circa cinque film di 2+1⁄2 minuti.

Ha continuato poi le sue esplorazioni visive del paesaggio e della natura della luce e del processo del pensiero, e attraverso la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 ha prodotto ciò che ha definito “pensiero visivo in movimento” in diverse serie di astrazioni fotografiche conosciute come le serie “Roman”, “Arabic” and “Egyptian”.

Alla fine degli anni ’80, Brakhage è tornato a realizzare film sonori, con il ciclo in quattro parti “Faustfilm”, e ha anche completato il film dipinto a mano “The Dante Quartet”, ispirandosi liberamente a “La divina commedia” che aveva letto ancor liceale su suggerimento del professore d’inglese.

Incantanto dalle immagini che Dante descrive, Brakhage comprende come diventi riduttivo leggere ancora un’altra traduzione del “La divina commedia” e quanto ormai quell’immaginario sia ben impresso nel suo sguardo tanto da averne un corollario visivo che lo indurrà a lavorare per sei anni su questo film muto di otto minuti, dipingendo le immagini direttamente sulla pellicola,

“Dante Quartet” si compone di quattro parti, rispettivamente intitolate “Hell Itself”, “Hell Spit Flexion”, “Purgation” e “Existence is Song” che richiamano spunti emotivi autobiografici: il regista si era infatti da poco lasciato con la moglie e sentiva il crollo di un’intera vita, ma come il corpo può alimentare la sensazione di essere all’inferno, similarmente può percepire quando ne esce verso quello stato di trasformazione, che è il purgatorio, prima di aggiungere a un fugace senso di liberazione e benessere. L’estetica di Brakhage ci offre qui come una prospettiva oscura, decentrata e idiosincratica che è difficile da concepire se non come qualcosa di diverso da una gloriosa celebrazione delle possibilità esperienziali e materiali del film e della luce proiettata.

Brakhage è stato ancora produttivo negli ultimi due decenni della sua vita, lavorando in collaborazione con altri registi tra cui Phil Solomon, suo collega dell’Università del Colorado. Sono stati completati molti altri film sonori, tra cui “Passage Through: A Ritual”, montato sulla musica di Philip Corner, e “Christ Mass Sex Dance” e “Ellipses Reel 5”, entrambi con musiche di James Tenney. Ha anche prodotto le principali meditazioni sull’infanzia, l’adolescenza, l’invecchiamento e la mortalità conosciute collettivamente come “Vancouver Island Quartet”, oltre a numerose opere dipinte a mano. L’ultimo filmato girato da Brakhage è stato reso disponibile con il titolo “Work in Progress”, e al momento della sua morte Brakhage stava lavorando anche alla serie “Chinese”, un’opera realizzata graffiando direttamente su pellicola, una tecnica impiegata nel 1950 dall’artista francese Isidore Isou.

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