Il collasso della Silicon Valley Bank e il ciclo economico


L’incapacità di comprendere e prevedere i cicli economici è una caratteristica dell’attuale Economia, eppure: la teoria economica possiede gli strumenti per comprendere l’attuale turbolenza finanziaria”.

Articolo a doppia firma: Carmelo Ferlito, CEO, Center for Market Education e Sergio Maria Calzolari, Affiliate, Center for Market Education

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Il crollo della Silicon Valley Bank (SVB) sembra avere poco da dire agli economisti e, a loro volta, gli economisti sembrano avere poco da dire al riguardo; la situazione ricorda quanto accaduto con la Grande Recessione del 2008. Qualcuno dei lettori forse ricorda che il 4 novembre 2008 la Regina Elisabetta visitò la London School of Economics e, mentre le veniva fornita una spiegazione sulle origini e gli effetti della crisi finanziaria, al termine del briefing chiedeva: “Perché nessuno se ne è accorto?”.

Ci sembra che, al riguardo, tre fenomeni siano correlati: il progressivo venir meno dell’interesse, nella teoria economica, per la spiegazione dei cicli economici, l’ovvia conseguente incapacità di vederli e interpretarli e la loro crescente frequenza.

Non è un mistero che, dopo la seconda guerra mondiale, la scienza economica tradizionale si andò focalizzandosi sullo studio degli equilibri statici, abbandonando l’interesse per le fluttuazioni economiche che fu centrale invece negli anni tra le due guerre e culminò con la Teoria generale di John Maynard Keynes (1936). Il tema della crisi dell’economia come disciplina scientifica e del suo insegnamento non è nuovo; tuttavia, l’economia rimane sotto i riflettori per la sua incapacità di comprendere e interpretare il mondo economico reale. Inoltre, i cosiddetti economisti eterodossi hanno spesso criticato l’approccio tradizionale su basi pro-pianificazione e anti-mercato (terreno ideologico), piuttosto che rispetto all’effettivo edificio teorico; infatti, come sottolineato da Geoffrey M. Hodgson, il nucleo neoclassico dell’economia tradizionale è stato utilizzato per sostenere il socialismo così come il capitalismo. In poche parole, diverse ricette politiche non riflettono sostanziali differenze teoriche.

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Quanto sta accadendo con la Silicon Valley Bank e altre istituzioni finanziarie richiede la riscoperta di quegli approcci teorici che cercano di collegare sviluppo economico, innovazione e sistema finanziario come i tre elementi chiave per una comprensione complessiva della natura ciclica delle dinamiche capitaliste; la mente va a Joseph A. Schumpeter e al suo allievo Hyman P. Minsky.

Perché i cicli economici contano nell’ambito della presente riflessione? Nel suo fondamentale lavoro sull’innovazione e l’imprenditorialità, pubblicato più di un secolo fa, Schumpeter spiegava che lo sviluppo economico si verifica quando individui speciali chiamati imprenditori creano innovazioni; ma egli aggiungeva che tali innovazioni non possono avvenire senza la creazione di potere d’acquisto da parte delle banche; il banchiere, quindi, non è semplicemente intermediario nello scambio di potere d’acquisto: lo crea ex nihilo, caratterizzandosi come l’eforo dell’economia di scambio. Il finanziamento delle innovazioni e il processo di imitazione imprenditoriale generano a loro volta un ciclo di espansione e contrazione.

Hyman Minsky, allievo di Schumpeter, sviluppò ulteriormente tale approccio, spostando l’attenzione dal ruolo dirompente dell’innovazione imprenditoriale verso i rischi impliciti nella finanziarizzazione dell’economia. Rifacendosi a Economic Heresies (1971) di Joan Robinson, Minsky (Stabilizing an Unstable Economy, 1986) ha spiegato che, nel ciclo economico, ci sono periodi in cui non sono in atto cambiamenti rapidi e dirompenti; essi possono essere definiti periodi di tranquillità; tuttavia, «la tranquillità è turbata dai boom degli investimenti, dall’accelerazione dell’inflazione, dalle crisi finanziarie e monetarie e dalla deflazione del debito».

Sottolineando il ruolo delle innovazioni finanziarie, Minsky ha spiegato che «[d]urante periodi di espansione tranquilla, le istituzioni in cerca di profitto inventano e reinventano “nuove” forme di denaro, sostituti del denaro […] e tecniche di finanziamento per vari tipi di attività: l’innovazione finanziaria è una caratteristica della nostra economia in tempi positivi».

Tuttavia, il nuovo denaro disponibile introdurrà una domanda aggiuntiva di capitale e attività finanziarie, e ciò si traduce in prezzi degli asset più elevati, che a loro volta aumentano il prezzo della domanda per gli investimenti correnti. In poche parole, l’innovazione finanziaria «tende a indurre plusvalenze, aumentare gli investimenti, aumentare i profitti: l’economia cercherà di espandersi oltre ogni tranquillo stato di pieno impiego».

Durante il boom che segue un periodo di tranquillità, quindi, vengono incoraggiate pratiche innovative di indebitamento ed eccessi speculativi e si sviluppa, quasi inconsciamente, una fragilità del sistema. Questa spiegazione non contraddice, ma piuttosto integra, la visione originale schumpeteriana, secondo la quale il surriscaldamento dell’economia è dovuto a processi imprenditoriali imitativi, ovvero da imprenditori di seconda ondata che cercano di beneficiare del clima positivo che circonda un’innovazione; infatti, senza la creazione di innovazioni creditizie e finanziarie, quei processi imitativi non potrebbero avvenire.

Lo scenario introdotto da Minsky, chiamato ipotesi di instabilità finanziaria di Minsky, sta diventando sempre più comune nelle attuali dinamiche capitaliste, e può essere utilizzato per spiegare, ad esempio, la crisi finanziaria del 2008, come ha fatto Axel Leijonhufvud nel 2009.

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Il nostro ragionamento ci porta a due conclusioni principali. La prima è che la teoria economica possiede gli strumenti per comprendere l’attuale turbolenza finanziaria, che è in effetti un mix di innovazioni imprenditoriali e finanziarie. La scienza economica ha però bisogno di riscoprire l’importanza della teoria pura, plasmata dall’osservazione della realtà, uscendo dalla sua condizione di statistica di serie B in cui si è trasformata.

Secondo: la finanziarizzazione dell’economia è cresciuta enormemente con il sistema dominante e incontrastato della moneta fiat. Un nuovo sistema monetario è assolutamente necessario per preservare il valore della moneta nel tempo e per ridurre il divario tra economia reale ed economia finanziaria: oggi la prima è troppo vittima della seconda.

Con la caduta di Bretton Woods, il valore dei nostri risparmi è caduto vittima delle turbolenze finanziarie e delle manipolazioni monetarie delle banche centrali. Allo stesso tempo, gli investimenti industriali sono diventati progressivamente meno attraenti rispetto alle iniziative speculative. Potenziali alternative sono presenti nel dibattito teorico: free banking, concorrenza tra valute, un nuovo standard basato sulle criptovalute, l’eliminazione del sistema bancario a riserva frazionaria. È giunto il momento di discutere più seriamente di queste alternative.

Foto di Jp Valery su Unsplash

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