Costretti a pattugliare “Terra dei fuochi”


Quando fu tolto il Segreto di Stato scendemmo in 120.000 nelle strade. Oggi, ancora pattugliamo il territorio, giorno e notte, in squadre, segnalando roghi tossici e sversamenti di privati e Camorra. Collaboriamo con le forze dell’ordine, mentre i tumori uccidono i nostri figli e la politica parla. E nel farlo, letteralmente ci avveleniamo.

Mi sto preparando a uno dei miei soliti “pattugliamenti”. La parola sembra collegata a qualcosa di poliziesco, tipo un film di azione o qualcosa del genere. In realtà serve a rendere piacevole un tour periodico, che insieme ad attivisti e osservatori, siamo costretti a compiere per monitorare il territorio rispetto agli sversamenti illeciti di rifiuti ai danni dei nostri territori, al fine di allertare le autorità competenti.

Che sia chiaro da subito: non si tratta di un obbligo, ma di una nostra precisa scelta.

Non ci aspettiamo un “grazie”, le luci della ribalta o carriere politiche, ma solo ed esclusivamente che il problema venga risolto senza ulteriori danni sulla nostra pelle.

Sono anni che segnaliamo e denunciamo siti e discariche illecite e a tutt’oggi non sappiamo in realtà cosa sia cambiato rispetto agli inizi di quello che, essendo un dramma, circoscriviamo come problema nella definizione altamente stigmatizzante di: “Terra dei Fuochi”.

Parliamo di 90 comuni inseriti in questo marchio, più di infamia che di gloria.

Il riconoscimento del “problema”, nonostante l’allarme lanciato diversi anni prima, è avvenuto ufficialmente nell’anno 2013, in seguito a una serie di manifestazioni itineranti nei territori colpiti dalla devastazione, dallo sversamento illecito dei rifiuti e relativi roghi tossici.

La popolazione stremata dai lutti, dalle malattie tumorali in continuo aumento, e alla luce dei primi verbali secretati relativi alle testimonianze dei pentiti di camorra, è scesa in strada come un “fiume in piena”.

Più di 120.000 persone provenienti dalla tutta la Campania (e non solo!), sotto una pioggia battente manifestavano per i loro diritti. Di fronte a quei “numeri”, le istituzioni non hanno potuto ignorare la volontà dei cittadini e sono corse subito ai ripari temendo di perdere consensi elettorali, nonostante la verità fosse da sempre sotto gli occhi di tutti, così come le cronache dei quotidiani rispetto ai traffici e gli “intombamenti” di rifiuti speciali e pericolosi. Ed è cosi che è nata la Legge Regionale del 20/2013, le “Misure straordinarie per la prevenzione e la lotta all’abbandono e dei roghi tossici”

Un grande risultato della cittadinanza per un obiettivo tanto agognato. L’entusiasmo però dura poco, perchè anno dopo anno, il sogno di vivere una situazione “normale” svanisce nell’ennesimo rogo tossico.

Oggi, infatti, di quella vittoria dei cittadini, abbiamo l’amaro in bocca, il sapore della beffa. Tutto resta immutato.

A una legge ben fatta dai legislatori, come la maggioranza delle leggi italiane, manca poi la reale applicazione di quanto previsto e questo accade puntualmente ogni giorno di fronte allo scaricabarile istituzionale e burocratico di competenze.

Come la mancanza di fondi per la rimozione dei rifiuti da parte dei Comuni, unici responsabili per la rimozione sui propri territori, e quindi troppo deboli per far fronte a una piaga del genere, cosi come l’assenza di controllo sul territorio.

Altro problema. Fondi elargiti per la sorveglianza nella Terra dei fuochi e la triste scoperta della sua inefficacia, collegata alla perenne mancanza di organico che visiona periodicamente i filmati.

Il fallimento del Sistri, il sistema di controllo sulla tracciabilità dei rifiuti, ha completato l’opera. Soldi pubblici letteralmente sprecati in nome di un’emergenza che ha visto succedersi commissari su commissari senza nessuna reale soluzione di continuità.

Per far fronte all’inefficacia delle azioni, arrivano a completare l’opera gli annunci roboanti di droni per il controllo del territorio, il coinvolgimento di squadre speciali, i milioni di euro spesi per le bonifiche e la rimozione dei rifiuti, le firme di protocolli su protocolli di chiara inefficacia, compreso il coinvolgimento e la creazione di società in house che si occupano delle tante segnalazioni, degli incendi e dei roghi.

La verità è che siamo ancora all’anno zero ed è questo il motivo per cui anche noi semplici cittadini scendiamo in campo, perché il male è troppo grande. Un “male” che si propaga ovunque e non riguarda solo quei 90 comuni con il marchio di infamia, ma coinvolge l’Italia intera.

Compio gli stessi gesti prima di un pattugliamento. Infilo gli scarponi per camminare tra i rifiuti, preparo la mascherina e avviso altri attivisti, mentre evito accuratamente di informare la mia famiglia, perché non condivide questa scelta. Non le posso dare torto, neanche io, in fondo, la condivido.

E’ profondamente ingiusto che un cittadino, spesso lasciato nella solitudine, debba fare quello che dovrebbe svolgere chi ha l’onere di tutelare un diritto inalienabile come quello della salute.

Considerando inoltre che non si può evitare di respirare quell’aria. Ogni rogo tossico riesce a penetrare in ogni piega della pelle.

Alla fine prevale la speranza che insieme e senza secondi fini qualcosa si potrebbe risolvere. Con questa speranza, tento, “ancora e ancora”, di fare quello che oramai svolgo con regolarità da 14 anni lunghi anni e di cui gran parte dei cittadini, che hanno i miei stessi diritti e miei stessi doveri, non conoscono, perché a volte capita che si giri la testa altrove nell’attesa che qualcuno risolva il problema.

Oppure come i politici, ci si ricorda solo all’occorrenza.

Ogni volta che rientro a casa ho l’orrore negli occhi. Si dice che a tutto ci si fa l’abitudine, ma non sono ancora riuscita ad assistere inerme all’agonia di una Terra soffocata dai rifiuti, a cui si associa la malvagità e l’ignoranza di uomini che non hanno compreso che abbiamo a disposizione UNA sola Terra, che non sarà in grado di reggere a lungo il peso della nostra immondizia e neppure quello dell’incoscienza, così come al dolore innaturale per ogni madre di assistere alla morte dei propri figli.

Ho già programmato il prossimo pattugliamento.

Questa volta qualcosa cambierà. Questa volta saremo sempre di più.

La speranza è sempre l’ultima a morire.

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