LA “SFACCIATAGGINE” DEL CORAGGIO


-«Senza tema!», un’antologia in cui la poesia si svincola da ogni costrizione e si trasforma in libertà-

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Pietro Pancamo (a cura di), «Senza tema! Poesie coraggiosamente atematiche», collana «Le
antologie di “OMERIGGIARE” PALLIDO E ASSORTO», Edizioni Simple, Macerata, 2022,
pp. 92, € 12,00.


Consapevole che infrangere le consuetudini, specie se consolidate, è sempre un atto di coraggio, mi sono “ribellato” alla moda delle antologie a tema, curando un piccolo volume collettaneo di versi –«Senza tema! Poesie coraggiosamente atematiche» (Edizioni Simple, Macerata, 2022)–, nel quale a ciascun autore ho lasciato completa libertà di scegliere autonomamente la materia da trattare; ne è nata un’opera corale in cui tutti, svincolati com’erano da forzature di sorta, hanno avuto una preziosa opportunità d’esprimersi al meglio.

Ecco qui di seguito i commenti critici che, all’interno del libro, ho dedicato a ciascuno dei quattro autori antologizzati: Kikai, Angela Lombardozzi, Tommaso Meldolesi e Fabio Sebastiani. Secondo il critico e storico della musica Massimo Mila, il sentimento predominante, nei brani di Mozart, è una sorta di benefico sorriso fra le lacrime. Io credo di poter dire lo stesso per i versi della brava Kikai: in essi, infatti, un’acuta desolazione, in tutto simile a quella che caratterizza i componimenti di Edgar Allan Poe, è armoniosamente stemperata, almeno ogni tanto, da un filosofico sorriso zen, appositamente concepito per striarsi d’inflessioni narrative. Ispirate forse al genere Fantasy, queste ultime si rivelano pervase d’un’angoscia “lisergica”, da cui si diramano paesaggi interiori e mentali, ansiosi di sprigionarsi fulminei per il mondo reale, allo scopo di ricoprirlo, ovvero popolarlo, di scenari onirici (scenari dunque ideali, per annunciare alle vittime quotidiane del dolore che lasciarsi (s)travolgere dall’arte è spesso l’unico modo per accedere ad una vita “ascensionale”, finalmente in grado, come un vento “massiccio” o una corrente poderosa, di trascinare via l’anima di chi soffre dalla pochezza micidiale dell’esistenza umana).

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Le liriche di Angela Lombardozzi s’improntano talora ad un serrato flusso di coscienza, magistralmente concepito per rispecchiare la concitata e penosa assenza di senso, dalla quale l’esistenza quotidiana di noi uomini è ahimè afflitta, perlomeno in determinate circostanze. Ma in altri testi, la maggioranza, a stemperare il dolore e scorgere un utile insegnamento, persino negli accadimenti all’apparenza più “periferici” e irrilevanti, subentrano prontamente delicate suggestioni che, pur discendendo forse dalle opere di Pablo Neruda e Chandra Livia Candiani, vengono rielaborate con estrema eleganza, in funzione di uno sguardo originale e “arioso”, indubbiamente pervaso di una calma immota e contemplativa: una calma che, sebbene molto simile all’abbattimento rassegnato che in genere segue alle sconfitte, è di quest’ultimo l’esatto opposto, perché in realtà si configura, radiosa, come pazienza (cioè consapevolezza che indagando a fondo le vicende umane, si riuscirà sempre a scoprire il filo conduttore che le lega e dunque le spiega).

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Le poesie di Tommaso Meldolesi prendono le mosse da una tenera o meglio sognante rassegnazione che, pur attraversata sempre da una favilla di speranza (pronta ad esplodere in qualunque momento), piega spesso il ginocchio dinanzi alle (s)torture dell’esistenza; ma quelle in oggetto sono anche liriche che –fra sussulti musicali, orchestrati a meraviglia da un intenso afflato filosofico– nascono di soprassalto, come un bimbo (o fanciullino pascoliano) in punto di vita, da immagini e intuizioni, abili sul serio a colpire il lettore con la forza suggestiva, e a volte leopardiana, della loro fiabesca inquietudine.

In una continua e ica(u)stica dissolvenza incrociata d’immagini che sfumano rapide l’una nell’altra, Fabio Sebastiani ci svela impietoso le piccole miserie del grigiore quotidiano, presentandole come un rito scaramantico a cui noi esseri umani, in nome di una vita completamente ottusa e quindi molto più comoda, ci siamo autoaddestrati e autoaddomesticati con tenacia imperterrita. Ma se il dolore, unica e scabra via d’uscita dalle mollezze dell’ottusità, ci contagiasse di poesia, subito il calcio, i reality e le puntate di «Beautiful» non ci basterebbero più. Anzi avvertiremmo urgente il bisogno di pensare; il che, ovviamente, porterebbe a sofferenza ulteriore, ovvero ad un qualcosa che aborriamo, perché, contravvenendo alle tante pubblicità che predicano solo divani “accoglienti” e letti morbidi, rischierebbe di far crollare drasticamente il nostro mondo autoindotto di comodità ossessiva e narcotica. Perciò alla larga, alla larga più che mai dal dolore e da quel blu molesto che, alto come il cielo e fastidiosamente a strapiombo sul cuore, si chiama poesia.

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