La riscrittura dell’Altro

 La riscrittura dell’Altro

Il traduttore, studioso di immagini, emozioni e idee nelle parole. Epistemologia del comparare, tra riscrittura e tradizione.

<<Quello che si produce è in primo luogo un’altra lettura, una lettura nuova, inaudita, che fa sorgere nella lingua delle onde musicali altre che vengono a ri-scriversi e ad aggiungere altro a ciò che è stato scritto, perché noi parliamo di scrittura ma, personalmente, scrivo a orecchio>>
-Cixous,Héléne. La lingua che verrà, Meltemi, 2008

Il lavoro di traduzione e di riscrittura è un continuo scambio, un arricchimento reciproco tra il traduttore e il testo che sta traducendo. Si può intendere come una sorta di viaggio all’interno di un universo fatto non solo di simboli ma appunto di cultura e storia. I simboli sono legati alla storia e alla cultura di un posto ed è per questo che per una buona traduzione ed in particolare per i testi letterari, è indispensabile conoscere la cultura dell’altro per entrare in stretto contatto con tali simboli.

È, tra l’altro, proprio quello che fecero i gesuiti nelle riduzioni, ai tempi delle scoperte. Grazie alla conoscenza dei simboli e dei codici delle culture indigene poterono dare il via al processo di evangelizzazione di quelle terre. L’azione missionaria ha cercato per lungo tempo di impadronirsi studiando e approfondendo le lingue indigene per entrare in empatia con la loro narrativa.

Si è caduti spesso in problemi, quali forzature e improbabili analogie linguistiche in particolar modo per quanto riguarda concetti del tutto nuovi o nuovi solo in parte, del mondo cristiano. Parole come: battesimo o trinità, ad esempio.

José Acosta (1), tra l’altro, sottolinea la capacità di alcuni missionari di commettere l’insano errore di avvalersi di interpreti per comprendere certi concetti nella lingua locale rischiando di cadere spesso in contraddizioni ed equivoci.

Solo dopo la metà del novecento si rivolsero oltre alla traduzione di lingue locali, anche all’elaborazione di nuovi generi testuali.

Assia Djebar nella raccolta di scritti “Queste voci che mi assediano- Scrivere nella lingua dell’altro”, affronta proprio questo, che è dunque il problema del rapportarsi.

Chi traduce un’opera, parla sempre del corpo a corpo con la lingua, per trasportare la parola, le immagini e le emozioni in una lingua diversa: il tradurre si colloca nello spazio, nell’incontro, sia pure conflittuale, tra due lingue, due culture, due memorie. L’arricchimento quindi avviene solo attraverso il confronto.

Ad esempio è chiaro che io riesca a rendermi conto della fisionomia di un volto solo se lo metto a confronto col volto di un altro. La riscrittura mette in relazione la storia raccontata (l’enunciato) con la sua enunciazione. I testi in questione sono concepiti come discorsi. Non bisogna per questo gerarchizzare ovvero privilegiare un testo anziché l’altro, quanto invece accettare un’analisi differenziale, ovvero che valuti le differenze e le metta sullo stesso piano senza nessun tipo di gerarchizzazione. Il discorso può quindi aiutarci alla comparazione differenziale in quanto esso stesso carico già di diverse discipline, quali: Sociologia, Teoria dell’argomentazione, Analisi della conversazione.            

Ci soffermiamo allora sulla nozione di interdiscorsività introdotta da Cesare Segre (2), ovvero quando i richiami tra i diversi testi riguardano unicamente le strutture semantiche e sintattiche comuni a un tipo di discorso. Questo metodo di analisi comparativa si distingue dal metodo tradizionale e avvicina i testi in rapporto alle loro caratteristiche dinamiche.  

L’analisi comparativa e discorsiva ci consentirà di dimostrare che sia la riscrittura di alcuni testi (come ad esempio i miti) che la loro traduzione, sono rienunciazioni.

Ma più che riscritture (che sta per “riprendere qualcosa di già scritto”) è forse più giusto parlare in termini di scritture in quanto attribuiscono effetti di senso attraverso nuove dimensioni linguistiche, e tengono presente le dimensioni culturali, rituali e iconiche che non bisogna tralasciare.

Facciamo allora una Comparazione differenziale che esamina le differenze tra il testo di partenza e quello perennemente incompiuto, di arrivo. E oggetto d’analisi per un confronto discorsivo è l’enunciazione.

È d’altronde inevitabile come una riscrittura si riferisca a riscritture precedenti dando il via a un dialogo intertestuale che è appunto dinamico.

Un passo avanti per il processo di comparazione è quello di non cadere in un rapporto gerarchico dove il testo originale acquisti un valore maggiore rispetto al testo di arrivo (tradotto), ma cambiando ottica e pensando al testo tradotto in quanto “altro” e non “imitazione del precedente”.

Ciò ci rimanda alla nozione di Genere.

I generi sono pratiche culturali che differiscono da una lingua all’altra.

Riscrivere un testo antico in un’altra epoca e  in un’altra cultura vuol dire riconfigurare la genericità. Un enunciato ad esempio può scriversi nello stesso genere e nello stesso tempo. Tale processo di genericità non si effettua solo sul piano della produzione (genericità autoriale) ma anche su quello della lettura e la ricezione di un libro (genericità lettoriale) e anche su quello dell’edizione (genericità editoriale) e sul piano traduttivo (genericità traduttoriale).

Il transfert da una lingua all’altra implica a sua volta il transfert da un genere all’altro.  Quindi si ha una riconfigurazione generica, ovvero si creano nuove convenzioni generiche più adatte ai contesti socioculturali dell’epoca in cui il testo viene tradotto.

Inevitabilmente la traduzione ci induce allo stare al “centro”, tra due lingue e il nostro attraversare è cercare di dare un senso molto vicino alla nostra concezione delle cose.

  • (1) José Acosta, gesuita e scrittore spagnolo. (Medina del Campo, 1539 – Salamanca, 15 febbraio 1600);
  • (2) Cesare Segre, filologo, semiologo e critico letterario italiano, (Verzuolo, 4 aprile 1928).

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