I codardi fuggono – La Forza dei Tarocchi


“La forza si applica quando la paura ci allontana dalle difficoltà o quando l’audacia ci porta agli eccessi” – le differenze di forza e coraggio nel corso delle culture cristiana, ebraica e greca, fino al momento del Trionfo della Forza: “Solo i codardi fuggono di fronte alle avversità”.

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San Tommaso pone la Fortezza al terzo posto, dopo la Giustizia e prima della Temperanza – facendola entrare quindi nel coro delle virtù cardinali. Essa viene esercitata allorché l’uomo, nell’affrontare eventi grandemente difficili da tollerare, come ad esempio i mali terribili, rimane fermo e costante nel riceverli oppure li rigetta allorché risulta necessario allontanarli:

“In due modi si superano gli impedimenti, che s’attraversano all’esercizio delle virtù, o con soffrire, o con rigettare. Si soffrono le difficoltà, che ci fanno ostacolo: si rigettano gli assalti de’ nostri nemici Carne, Demonio, e Mondo, che ci fan guerra; E quella fermezza, e costanza d’animo, che richiedesi per sopportare, e per ripulsare tali arduità, è la virtù Cardinale della Fortezza”

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Nell’individuare la fortezza come una delle quattro virtù cardinali, caratterizzandola secondo il suo pensiero, l’Aquinate si ispirava alla tradizione classica greco-romana. Platone pose la fortezza tra le quattro virtù fondamentali della polis [città-stato] e dell’individuo: nella polis era la virtù della classe guerriera; nell’individuo, quella dello spirito [greco: θυμοειδές, thumoeides, ‘molto vivace’, dalla radice thumos, associato con il respiro e il sangue], parte dell’anima:

“Grazie dunque a questa parte noi chiamiamo, credo, coraggioso [da ανδρειον, andreion] un individuo, il che avviene quando la sua facoltà impulsiva [θυμοειδές, thumoeides] conserva nel dolore e nel piacere il concetto, trasmessole dalla ragione, di ciò che è temibile e ciò che non lo è”.

L’idea è forse quella di essere coraggiosi quando si sa che la paura e persino la morte non devono essere temute se la ragione lo richiede; piuttosto ciò che si deve temere è l’opposto, cioè le lusinghe della sicurezza e del piacere.
Allo stesso modo Aristotele identifica la fortezza con coraggio [andreia] definendola come “il giusto significato tra l’impetuosità e la codardia”. Affermazione che divenne la fonte per l’Angelico allorché scrisse:

“La forza si applica quando la paura ci allontana dalle difficoltà o quando l’audacia ci porta agli eccessi”.

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Possiamo quindi supporre che non vi siano differenze sostanziali nei concetti finora enunciati sulla Fortitudo nel senso di ‘Coraggio’ espressi dai greci e dai teologi cristiani del Medioevo. Ma il cristianesimo venne ulteriormente influenzato dal pensiero ebraico prodotto dall’Antico Testamento.

La religiosità ebraica pone la fortezza e ogni principio energetico nel contesto di un Dio personale, Signore della natura e della storia. Da questa visione nascono le dossologie che esaltano, assieme alla misericordia e alla generosità, la forza incontenibile del braccio di Dio: “Yahweh tuo Dio è Dio degli Dei, Signore dei signori, un grande Dio, potente (Ebraico: haggibor; Vulgata: potens) e terribile” (Dt, 10.17). ‘Dio potente’ e ‘Forza di Israele’ [1 Sam. 15:29, KJV; Ebraico: nesah; Vulgata: Triumphatore] sono nomi che a lui si addicono.

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Nel cristianesimo questi attributi del Messia ebraico si riversarono su Gesù Cristo, il Messia cristiano, chiamato ‘spirito di fortezza’. La forza del Cristo, mostrata vividamente dalla sua condotta in occasione della crocifissione, si riverbera in senso morale su tutti i cristiani, chiamati nella Prima Lettera di Giovanni (2:14), ischyroi
(forti), perché capaci di resistere alle tentazioni del Maligno grazie alla parola di Dio che vive in loro:

“Scrivo a voi, giovani, perché siete forti, e la parola di Dio vive in voi, e voi avete superato il malvagio”.

Si tratta di una forza da intendersi come la capacità del perfetto cristiano di affidarsi alla ragione per risultare vittorioso sui propri istinti e sulle proprie passioni, grazie ancor più alla costanza e alla fermezza nel perseguirla.

Occorre infatti ricordare come attraverso il ricorso alla ragione, la filosofia cristiana medievale cioè la scolastica, concepiva l’accettazione dei dogmi cattolici. Il perfetto cristiano, sostenuto dal ragionamento scolastico sulla vita dopo la morte, avrebbe coraggiosamente frenato la sua paura della morte, forte dell’insegnamento del Cristo.

Questa ulteriore forza data da Dio si ritrova anche nella mitologia greca, dove tuttavia il dono viene limitato a un solo figlio di un dio, in particolare a Ercole, figlio di Zeus. Ciò probabilmente spiega una versione fatta per la famiglia regnante degli Sforza di Milano tra il 1460 e il 1500, che mostra Ercole in quella che fu considerata la sua prima fatica: la lotta contro il leone di Nemea.

Una più antica versione di questo Trionfo, come troviamo nei Tarocchi Visconti Sforza di Yale, mostra una fanciulla che blocca con le mani le fauci di un leone, secondo una radice iconografica riscontrabile nella narrazione biblica di Sansone e il leone di Tamna (Giudici, 14, 5). Il significato morale della Fortitudo cristiana vieni esaltata dalla fanciulla che diviene simbolo dell’intelligenza e della ragione che domina il leone, ovvero gli istinti e le passioni terrene intendendo ancor più la vittoria, tramite una serena fortezza, sulle forze maligne che ostacolano il percorso verso la salvazione. Un’interpretazione che appare alquanto evidente in quanto nessuno, tanto più una fanciulla, oserebbe affrontare un leone a mani nude. La rappresentazione della Fortitudo con la fanciulla che blocca con le mani le fauci di un leone senza l’ausilio di una clava e in cui la forza fisica e la fortezza morale vengono ad assumere connotati equiparanti, ebbe larga diffusione nel Medioevo.

Un’ulteriore versione iconografica della “Forza / Fortezza” mostra una fanciulla accanto a una colonna spezzata o ancora integra e in tal forma viene raffigurata nei cosiddetti Tarocchi di Carlo VI. La colonna rotta deriva ancora una volta dalla vicenda di Sansone, distruttore del tempio del Dio Dagon (Giudici, 16,29), il cui coraggio consistette nell’usare la forza datagli da Dio anche a costo della propria vita.

Riguardo al significato della colonna integra, come troviamo ad esempio nel Tarocco Rosenwald e nel Tarocchino Bolognese, il Ripa così descrive una raffigurazione della Costanza, riportata nell’edizione 1611 della sua Iconologia: “Una donna, che con il destro braccio tenghi abbracciata una colonna, & con la sinistra mano uná spada ignuda sopra d’un gran vaso di fuoco acceso, & mostri volontariamente di volersi abbrugiare la mano, & il braccio”, spiegandone il significato come segue:

“Et esser costante non e altro, che stare appoggiato, e saldo nelle ragioni, che muovono l’intelletto a qualche cosa”.

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Nell’ordine originale dei Trionfi come espresso dal Sermo de Ludo, la Forza è posta dopo il Carro a significare che il desiderio di ottenere sempre successo e di essere glorificati dal mondo deve essere bloccato da quella virtù, poiché ogni vanto di successo è puramente illusorio, dato che l’uomo è solo polvere (pulvis es, et in pulverem reverteris) così come insegna la Genesi 3, 19 nella Vulgata. Forse per questo motivo molti sono allergici alla polvere.

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