Falsi archeologici: Matriarcato Neolitico e Grande Dea


La moderna archeologia ha definitivamente demolito varie fantasie di stampo religioso e sociologico relative al Neolitico: l’inattendibilità di Bachofen, l’ “ideologia” di Maria Gimbutas e l’inganno di James Mellaart sulla Grande Dea. Un vasto immaginario collettivo costruito senza prove, o falsificandole.

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Uno degli argomenti che ha più stimolato l’interesse dei ricercatori e la fantasia del grande pubblico, da metà ottocento fino alle epoche contemporanee della New Age, è il soggetto delle figurine e rappresentazioni delle cosiddette “Veneri steatopigie”. Sin dalla scoperta di questi reperti queste raffigurazioni sono rapidamente diventate, nelle interpretazioni di datati esperti e accademici, rappresentazioni della “Grande Dea” o della “Grande Madre”.

Queste figurine sono presenti dal Paleolitico fino ad epoca storica in molte civiltà di diverse aree del mondo, evidente simbolo di profondo significato. Ma i significati ad esse attribuiti possono essere considerato assodati e indipendenti da epoche storiche e localizzazioni geografiche? Storici, archeologi, psicologi, sociologi e studiosi di molteplici discipline hanno investigato e teorizzato sul significato di queste raffigurazioni, sfortunatamente, con mentalità e metodologie che in oltre un secolo e mezzo si sono rivelate profondamente soggettive.

Le prime interpretazioni ottocentesche hanno subito puntato ad un significato religioso, in qualche caso addirittura monoteistico (Gherard, 1849) e/o sociale, come per l’ipotesi del Matriarcato (Bachofen 1861). Queste fantasiose ipotesi ottocentesche, riflesso delle loro epoche e più in generale figlie di tendenze umane innate, hanno avuto seguiti moderni come nei lavori dell’archeologo Jacques Cauvin (1997) o come, dagli anni ’50 fino ai 2000, nella lunga serie di libri dell’archeologa Maria Gimbutas ed ispirando perfino psicologi come Erich Neumann, grande estimatore di Bachofen.


Leggi anche l’articolo sulla “Grande Dea” con le fonti bibliografiche complete


Gli studiosi più datati come Bachofen sono stati da tempo liquidati in toto, non essendo i loro lavori supportati dai contesti archeologici e configurandosi come esercizi di fantasia. In alcuni casi, come per la Gimbutas, gli studi sul Neolitico sono risultati compromessi da posizioni ideologiche che orientavano fallacemente l’interpretazione dei dati oppure, come per le posizioni di Jacques Cauvin sulle rappresentazioni femminili, criticate per la loro soggettività.

La Gimbutas, pur essendo una studiosa accademica, ha raggiunto una particolare popolarità presso il grande pubblico e presso le menti influenzate dalla cosiddetta “New Age”, grazie anche ad un elevato numero di libri di stampo divulgativo. E’ quindi particolarmente importante segnalare che gli attuali esperti in materia definiscano le ricerche sul gender della Gimbutas come fiction storica e narrativa emozionale di una studiosa specializzata nel ragionare sul femminile senza riguardo per ciò che dicono i contesti archeologici (Meskell 1995). In generale quindi, le valutazioni sul Neolitico Orientale e le famose tesi di matriarcato in aree indo-europee della Gimbutas sono state sconfessate dalla maggior parte degli studiosi.

Di particolare importanza è la citata Catal Huyuk (7400 – 5700 a.C.), Turchia, in quanto sito neolitico tra i più antichi e tra i più grandi e ricchi di dati. Il lavoro condotto dal moderno scavatore di Catal Huyuk, Ian Hodder dell’Università di Stanford, uno dei maggiori protagonisti nello studio della metodologia dell’interpretazione archeologica, ha portato ad una ulteriore demolizione dell’idea romantica e indimostrata di un Neolitico votato al Matriarcato.

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In breve, i dati archeologici del sito evidenziano una assoluta parità sociale tra uomo e donna (Hodder, 2004) in tutte le manifestazioni di cultura materiale che possano mettere in luce posizioni sociali differenziate.

Ma cosa dire dell’interpretazione “religiosa” delle figurine femminili obese, la presunta “Grande Dea”?

Un vecchio e superato modo di fare interpretazione portava a concentrare la visione sull’oggetto affascinante. L’attuale metodologia guarda ogni manufatto nei suoi contesti di ritrovamento. Le figurine neolitiche orientali, presenti regolarmente in molti siti neolitici, sono state oggetto di dettagliati studi recenti.

Le tipologie dei soggetti rappresentati sono animali, femminili, maschili e di sesso indefinito: speculare solamente su quelle femminili è di per sé già un bias interpretativo. Le figurine sono spesso numerosissime (indice di oggetto in uso comune) e nella maggior parte dei casi molto consumate da un uso di qualche tipo, gettate poi in discariche e latrine quando erano troppo consumate, e spesso con la testa mozzata prima di essere scartate senza rispetto alcuno.


Leggi anche l’articolo sulla “Grande Dea” con le fonti bibliografiche complete


 Nessuna prevalenza statistica di figure femminili sulle altre è risultata dall’analisi.

La più famosa figurina di Catal Huyuk, la formosa donna sul trono fiancheggiato da felini, (vedi foto) fu trovata in un contenitore in mezzo a granaglie, non in un tabernacolo da adorazione.

Similari figurine di Catal Huyuk e la stessa donna in trono, spesso marchiate da segni espliciti di vecchiaia e di morte. Non è questo il posto per fare una disamina completa delle possibili interpretazioni, ma una cosa è certa: queste figure femminili non sono certo “statuette di Dee”.

Non lo sono neanche le poche figurine trovate in contesto funerario, né gli usi e contesti di ritrovamento puntano a “culto”, “sacralità”, o significati religiosi.

La visione “religiosa” di un altrimenti grande archeologo contemporaneo, Jacques Cauvin (1997) di una religione della Dea e del Toro è quindi stata definitivamente pensionata come esempio di soggettiva interpretazione, tipica di obsoleta accademia, e mancante di elementi probatori oggettivi. 

L’esame dei dati simbolici e raffigurativi dei siti neolitici anatolici, con l’aggiunta recente di Gobekli Tepe, 9500-8800 a.C., ha evidenziato al contrario un’esclusiva presenza di simboli maschili e fallici nelle rappresentazioni iconografiche dei siti neolitici orientali, portando Ian Hodder a definire, per i siti in questione, l’esistenza di un Fallocentrismo Neolitico (2010); ciò non significa “Patriarcato”, concetto estremamente tardo rispetto alle epoche di cui parliamo, ma indica solo la presenza di un mondo simbolico e psicologico che attende corretta interpretazione.

Delle clamorose falsificazioni di presunte rappresentazioni murali della “Grande Dea” di Catal Huyuk, costruiti ad arte negli anni ’80 dall’archeologo inglese James Mellaart, responsabile degli scavi del sito negli anni ’60, parleremo nel prossimo articolo.

In conclusione, l’imparziale occhio delle moderne metodologie di interpretazione archeologica si è già largamente aperto sui popolari argomenti degli assetti sociali neolitici e sulla questione “Grande Dea”, ma ancora manca una sintesi, utile ad un approccio interdisciplinare ad un soggetto così articolato ed importante, che si spera possa raggiungere presto il grande pubblico e sfatare miti duri a morire


Leggi anche l’articolo sulla “Grande Dea” con le fonti bibliografiche complete


Bibliografia: Gerhard, E. ,1849. Über Metroen und Götter-Mutter. Berlin; Bachofen, J.J., 1861. Das Mutterecht. Stuttgart; Hodder, I. 2004. Women and Men. Jan. vol. 290, Scientific American; Cauvin J. 1997. Nascita delle divinità. Nascita dell’agricoltura. La rivoluzione dei simboli nel Neolitico. Jaca Book; Meskell, L., 1995. Goddesses, Gimbutas and ‘New Age’ archaeology. ANTIQUITY 69 (1995): pp. 74-86; Hodder, I. 2010. Religion in the emergence of civilization: Catal Hoyukm a case of study. Cambridge University Press;Neumann, E. 1981 La grande madre. Fenomenologia delle configurazioni femminili dell’inconscio. Astrolabio

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