“Dietro quella voce”


Quando le istituzioni adottano criteri non meritocratici, ma anarchici… per non dire altro!  Abbiamo perso i limiti, iniziando dalla depersonalizzazione degli operatori telefonici, capro espiatorio della nostra frustrazione.

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Da tanto non scrivo. La vita mi ha riservato molte sorprese. Anzi, no! Meglio dire “la morte”. Dopo il conseguimento della laurea in sociologia e una serie di ingiustizie, estromissioni e dopo aver preso atto che avrei dovuto lavorare sodo per mantenere la mia famiglia “mono genitoriale” (a causa della scomparsa di mio marito) ho accettato mio malgrado di dovermi allontanare dal sociale.

Soprattutto considerando il modo in cui sono trattati quotidianamente professionisti dalle istituzioni e i conseguenti danni che mi hanno arrecato personalmente, adottando criteri tutt’altro che meritocratici e una certa anarchia istituzionale (per non dire altro!) che farebbe schifo a chiunque.

Quindi mi sono rimboccata le maniche senza perdermi d’animo e ho risposto ad un annuncio inviato su Linkedin. Come consulente in un settore specifico dell’istruzione e della formazione. 

Mi sono trovata in una grande realtà, presente anche all’estero. Enormi customer care, circondati da intere open space adibite a call center.

Centinaia di persone allocate nel proprio spazio e pronte ad ascoltare necessità o a proporre soluzione, o semplicemente illustrare un prodotto. Non ci sono i telefoni nel call center. Bensì cuffie con il microfono, computer e sistemi di ultima generazione, un mix tra intelligenza artificiale e umana, che gestiscono i rapporti con i clienti e le chiamate in entrata e in uscita. 

Corsi di formazione costanti e team leader sempre sotto pressione, tra esiti, performance e qualità che devono garantire ai clienti. Tanto lavoro. Frenetico… di controllo, tra sistemi e persone e dai numeri esorbitanti. Sì, appunto, i clienti…che hanno sempre ragione. Clienti che chiamano i customer care per avere soluzioni, assistenza, orientamento, ma poi si lamentano una volta richiamati che sono stati disturbati o che non hanno tempo. 

Da sociologa ed esperta ormai trentennale nel settore sociale non voglio illustrare il funzionamento di una grandissima struttura dove i numeri contano senz’altro e non ne so abbastanza.

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Tuttavia intendo fornire uno spunto di riflessione su un’umanità persa, dove quella voce senza un volto, solo un nome nella sua presentazione, accompagnato dalla Società che promuove, diventa una sorta di “sfogatoio” dove far ricadere le colpe del mondo. Come se dietro “quella voce” ci fosse il peggiore degli esseri umani che va a sconfinare negli spazi personali e invalicabili di un essere senz’altro superiore. La verità è che abbiamo perso i limiti rispetto alle persone.

La realtà lavorativa dei call center è una delle professioni più colpite dal pregiudizio. Nel passato esistevano i venditori porta a porta. Loro bussavano, e tu dallo spioncino vedevi di chi si trattava: “Signora Buongiorno, sono il rappresentante xxx posso rubarle qualche secondo?”. A quel punto avevi due possibilità: aprire la porta, o inventare una scusa per evitare l’incontro. 

Al telefono la questione è diversa: “Riaggancio veloce” in faccia quando si è fortunati,

oppure parolacce, modi sgarbati, o frustrazioni latenti. Al venditore porta a porta questo si risparmiava.

Il rapporto a distanza implica più libertà, anche quella di essere maleducato e spocchioso.

Di sentirsi superiori, rispetto a una persona che si trova al telefono e cerca di guadagnarsi il pane, anche con enorme meticolosità e dalla quale ci si può congedare quanto meno con Educazione.

Avreste potuto esserci voi al suo posto. La vita è destino e nulla può essere previsto. 

Pur avendo un grande bisogno di lavorare, ho ricevuto una sorte migliore di tante persone che ho incrociato per quattro mesi, perché ero in una posizione differente rispetto alla loro.

Io non dovevo vendere nulla, ma dare assistenza e consulenza che gli stessi richiedevano. 

Eppure, anche in questo caso, la mia voce è stata sovrastata spesso dall’ineducazione, dall’arroganza, dalla prepotenza, di chi pensa di essere in una posizione talmente privilegiata da poter maltrattare una persona che è lì solo per aiutarla. 

Poi ci chiediamo quali sono gli esempi di comportamenti aggressivi.

Abbiamo bisogno di capri espiatori per avere conferme sulla nostra superiorità, la prova tangibile della nostra pochezza d’animo.

Per me sono stati quattro mesi intensi dove ho capito che il mio lavoro resta nel sociale, anche se consapevole che probabilmente morirò di fame, ma dove umanamente ho imparato tanto, ho conosciuto persone belle, intraprendenti, sempre con il sorriso.

Pronte a ricevere quella dose quotidiana di cattiveria da parte di un’umanità persa.

Foto di MART PRODUCTION: https://www.pexels.com/it-it/foto/donna-ufficio-lavorando-sfocatura-7709262/

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