Omaggio a Raniero Gnoli


Il ricordo di uno dei più grandi sanscritisti della storia, raffinato studioso di metafisica buddhista e tantrismo hindu. Autentico aristocratico di mente nobile e di rara umana cordialità. Come era e cosa significava passare del tempo in compagnia dell’Illustre Professore nelle sale di Palazzo Patrizi, la residenza-castello del Conte – articolo a firma di Marco Nicolella

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articolo di Marco Nicolella, Docente e Ricercatore

Raniero Gnoli; Conte Gnoli; orientalismo; sanscrito; Giuseppe Tucci; metafisica buddhista; tantrismo hindu; perennialismo; René Guénon; Frithjof Schuon; Mircea Eliade; Julius Evola; Pio Filippani Ronconi; Massimo Scaligero; Tradizione primordiale; Tradizione spirituale; Baghavad Gita; L’Orientale Napoli; marmora romana; Marco Nicolella; Palazzo Patrizi; Castel Giuliano; Agnieszka assistente; kalokagathia; spiritualità comparata; arte e artigianato; Vogue Casa Raniero Gnoli; estetica tradizionale; wunderkammer; cultura classica; armonia universale; simbologia cosmica; collezioni aristocratiche; Gherardo Gnoli; George Dumézil; Vincenzo Verginelli; filosofia estetica; cristianesimo tradizionale; sincretismo religioso; Roma; bracciano;

PREMESSA – Quando mi è stato chiesto di redigere un articolo commemorativo su Raniero Gnoli, non posso non ammettere di essermi trovato in una certa difficoltà. Cosa avrei potuto scrivere, infatti, di peculiare o differente, rispetto ai numerosi tributi che giustamente riceverà e ha già ricevuto questo grande uomo? (tra i tanti esempi possibili, il comunicato del Ministro della Cultura Alessandro Giuli).

Raniero Gnoli, nato a Roma nel 1930, è stato infatti un eccellente studioso, appartenente per struttura e intelligenza a quella nobiltà di titoli e di spirito che è quasi impossibile, oggi, ritrovare in altri esempi concreti. Sul fatto che sia stato un importantissimo orientalista, allievo del miglior maestro possibile (Giuseppe Tucci), è stato detto molto, e in ogni caso la sua sconfinata produzione di traduttore, curatore e saggista racconta tutto da sé. Anche la sua conoscenza del mondo artistico romano è più che nota, tanto che il suo capolavoro “Marmora Romana”, a distanza di un cinquantennio, risulta ancora insuperato.

Non volendo, perciò, aggiungere nulla ad argomenti su cui tanto è stato detto – e su cui molte persone potrebbero contribuire in modo ben più esteso e puntuale rispetto al sottoscritto –  ho considerato che, in fondo, potrebbe essere cosa buona tributare questa straordinaria figura seguendo il filo della mia personale esperienza, rilevando i suoi aspetti più nobili ed apprezzabili – avendo avuto il privilegio di frequentare la sua casa in questi ultimi anni – necessariamente nascosti ai più dietro la suddetta sconfinata attività artistica ed intellettuale. Con questo, naturalmente, non intendo minimamente pormi su di un piano di conoscenza superiore rispetto a quello che davvero non ebbi. Ad esempio, non ho mai voluto porgermi con un tono effettivamente confidenziale, tanto che, anche dopo anni, continuavo a interloquire con Raniero Gnoli dandogli del “lei” e interpellandolo con il titolo di “Professore”, a causa del profondo e sincero rispetto che una figura come la sua era in grado di evocare. Ciò che tenterò, nondimeno, sarà evidenziare la levatura e la complessità di questo uomo, in grado di alternare una notevole postura aristocratica ad una simpatia e una leggerezza difficilmente inavvertibili e mai fuori luogo. Solo difficilmente, temo, il mondo contemporaneo riuscirà a riproporre figure tanto notevoli.

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LA PRIMA CONOSCENZA – Conobbi Raniero Gnoli nel mese di giugno (probabilmente il giorno 14) dell’anno 2021. Il merito di questo fortunato incontro va a Giano Del Bufalo, amico di vecchia data, che propose al sottoscritto ed a un altro amico in comune di andare a trovare un uomo da lui ritenuto un vero e proprio “mentore”.

Il Conte – questo il titolo di nascita e con cui si rivolgevano a lui domestici e dipendenti – non abitava a Roma, ma in un antico palazzo di Castel Giuliano, una frazione del paese di Bracciano. Il suo nome non mi era nuovo, se non altro per la grande e meritata fama che lo precedeva: traduttore e curatore di una enorme quantità di testi in lingua sanscrita, esperto di metafisica orientale – dal buddhismo pali al tantrismo di Abhinavagupta –, massimo conoscitore del mondo marmoreo romano, nonché allievo diretto di alcune massime autorità dell’alta cultura italiana novecentesca, come Giuseppe Tucci e Mario Praz.

Ad accoglierci in quello che poi si rivelò un vero e proprio maniero fu la sua assistente Agnieszka (nota come “Agnese”), una donna intuitiva e trapelante una grande energia vitale. Varcata la soglia, l’arredamento fu la prima cosa che mi colpì e ciò su cui sarebbe giusto anzitutto soffermarsi. Quadri, mobili, oggetti straordinari della più grande varietà, visibilmente realizzati da mani espertissime – che ben presto scoprii fossero, in diversi casi, proprio quelle del Conte – ci circondavano, permettendoci di entrare in un ambiente decisamente “separato” dal mondo esterno, irriferibile rispetto a qualunque stile o tempo specifico. Probabilmente le collezioni wunderkammeristiche di uomini come Rodolfo II sono ciò che si potrebbe tenere a mente per farsi un’idea il più fedele possibile alla realtà. Eppure, neanche per un istante questo ricco arredamento si rivelò “soffocante” o ci trasmise una sensazione di inadeguatezza. Nonostante la ricercatezza e la quantità degli oggetti, infatti, vi era un intuibile senso di accoglienza – qualità, queste, che ben presto riconobbi nello stesso Raniero Gnoli –, come se l’ambiente fosse preposto ad elevare gli uomini che si fossero trovati ad usufruirne, stimolandone, anzi, quelle qualità che l’ottusa frenesia quotidiana relega nell’ambito dell’inutile o, nel migliore dei casi, del superfluo. Effettivamente – cosa che in brevissimo si rivelò ben evidente – l’eleganza e la raffinatezza dell’uomo e del luogo non si legavano affatto ad alcuna vuota etichetta o consuetudine gentilizia, ma erano l’espressione esterna di una struttura interna, di una postura intellettuale e “realmente aristocratica” – termine da intendere nel suo senso più positivo.

Aspettammo, perciò, così circondati, l’arrivo del Conte. Ricordo che giunse poggiandosi su di un bastone, che però, all’epoca, non gli impediva di tenere un’andatura comunque agile. Molto alto di statura, si accomodò assumendo una seduta elegante, ma al tempo stesso rilassata. A quel punto ci fu offerto un bicchiere di Sherry – come, del resto, ogni altra volta in cui mi recai a trovarlo – e iniziammo a parlare. Lì, presentandomi, lo ringraziai dell’accoglienza omaggiandolo con un libro da me appena scritto (I Segreti dell’Harmonia), spendendo appena poche parole utili per specificare l’argomento di cui si occupava – ovvero l’utilizzo delle matematiche del quadrivium come presupposto e senso più profondo per la realizzazione polifonico-armonica della musica occidentale. Anche se quello musicale non era un mondo di cui lui poteva dirsi esperto – suo grande cruccio – parve decisamente interessato alla faccenda; in ogni caso, non poteva essere quella l’occasione per approfondimenti ulteriori e così i discorsi virarono su altro.

Dopo pranzo ci recammo in un’ulteriore ampia stanza, dove furono accesi sigari toscani e bevuti ottimi bicchieri di accompagnamento. Andammo via circa un’ora dopo, per permettere al Conte di riposare (all’epoca, anche se non si sarebbe affatto detto, aveva già compiuto 91 anni).

Non fu senza sorpresa che, un paio di pomeriggi dopo l’incontro, il mio amico Giano mi contattò, riferendomi che il Prof. Gnoli aveva (già) avuto modo di leggere il mio testo, trovandolo molto interessante. Chiedeva a lui stesso il mio numero di telefono, al fine di contattarmi per invitarmi a “colazione” …termine con cui, secondo una certa consuetudine aristocratica, si indicava il pranzo.

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PERENNIALISMO – Tornai così a trovarlo dopo pochi giorni, e quella fu occasione di approfondimenti sulle tematiche precedentemente accennate. Pur non essendo lui esperto di quei particolari argomenti, mi confidò che concordava pienamente con l’intervento di filosofia estetica da me scritto e, addirittura, si scusava per essersi preso la briga di appuntarsi alcune possibili migliorie stilistiche – per me, come gli dissi, fu piuttosto un onore. Ben presto, dallo scambio dialogico sulla suddetta prospettiva estetica, i discorsi variarono spontaneamente, prendendo le pieghe più disparate. Mostrò subito – e fu il motivo per cui mi ci trovai immediatamente in armonia – una visione “perennialista” del cosmo, incentrata sulla cosiddetta Tradizione primordiale, di cui parlarono autori come René Guénon o Frithjof Schuon  – pensatori che stimava, ma di cui riconosceva anche diversi limiti, come si evince dalla sua seguente affermazione scaturita da un errore di traduzione dal sanscrito di Guénon, rimastami impressa: “Quando Guénon affronta problemi di carattere universale ha quasi sempre ragione; quando scende nei dettagli, invece, può commettere errori disastrosi…”.

Oltretutto, in diverse altre occasioni, mi confidò che alcuni degli uomini appartenenti al suddetto filone perennialista ebbe modo di incontrarli personalmente. Ad esempio, tramite Giuseppe Tucci, tra i tanti, conobbe Mircea Eliade e George Dumezil, tramite Massimo Scaligero e lo stesso Tucci conobbe Julius Evola (un pomeriggio, nel suo appartamento di Corso Vittorio Emanuele, quando il pensatore romano era costretto a letto a causa del bombardamento viennese). Di Pio Filippani Ronconi, invece, fu un vero e proprio amico, con cui discusse a lungo degli argomenti più vari e condivise numerosi momenti di giovialità, nei lunghi viaggi in treno che conducevano entrambi verso le rispettive cattedre dell’Università “L’Orientale” di Napoli (di cui, oltretutto, fu Rettore suo fratello, l’iranista Gherardo Gnoli). Questi dettagli sembreranno forse superflui, ma qualsiasi studioso può rendersi conto di quanto incontri così numerosi e autorevoli possano essere cruciali per la crescita strutturale ed intellettuale di un individuo. Raniero Gnoli sicuramente ne fece tesoro negli anni della sua giovinezza e maturità, sostenuto sempre da una postura assolutamente salda e controllata, la stessa con la quale ricordava questi eventi. Un uomo d’intelletto, insomma, che aveva visto il tramonto dell’ultima delle epoche culturalmente interessanti e che aveva condiviso la tavola con uomini appartenenti in senso luminoso a quel mondo pre-moderno, dove ancora aveva senso gridare verso l’evidente perdita di un chiarore sapienziale. Da qui alla più fitta oscurità dei tempi contemporanei, verso i quali non nutriva alcun tipo di simpatia, ma neanche permetteva che questi stessi fossero per lui fonte di veleno. “Tutto decade” era solito affermare, ma sapeva anche scherzarci su.

Parlammo a lungo, accennavo, e delle tematiche più disparate, nell’imprecisata quantità di volte in cui tornai a trovarlo. Nella sua formazione emergeva con chiarezza una straordinaria cultura classica e umanistica (leggere poesie, inoltre, era uno dei suoi passatempi preferiti), una conoscenza delle lingue fuori dal comune (anche antiche, come il greco, il latino e il sanscrito), una grande competenza riguardo alle tradizioni spirituali occidentali ed orientali (su cui aggiungerò a breve qualcosa) e un’eccellente preparazione teorico-pratica verso i mondi artistico-manuali.

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NELL’ARTE – Riguardo a questi ultimi, ho accennato il fatto che lui stesso era responsabile di diverse opere che arredavano la sua abitazione, come alcuni mobili, quadri, o addirittura affreschi, passando per la lavorazione tassidermica e sartoriale. Non capitò raramente che, giungendo al castello, lo trovassi impegnato nella realizzazione di qualche opera più o meno impegnativa, sotto il costante aiuto di Agnese – che in quei casi, in un certo senso, oltre che sua assistente diveniva una vera e propria allieva – per cui tra pennelli, colla, martello, chiodi e una quantità indefinita di materiali e utensili a me sconosciuti, il conte si destreggiava con operosa e invidiabile abilità, nonostante l’età avanzata, realizzando manufatti della più diversa natura (particolarmente impressi mi restarono dei caleidoscopici mostriciattoli da bestiario medievale, oppure un enorme mappamondo di legno lavorato). Asserendo questo, è necessario al contempo sottolineare che quanto potrebbe qui apparire come un esclusivo e mero passatempo in realtà non era che l’ulteriore dimostrazione di una dimensione affatto elevata dell’individuo – pur non mancando parimenti, e giustamente, una componente più distensiva. Infatti, da questa vera e propria wunderkammer che risultava essere la sua abitazione, emergeva il riconoscimento – questo, sì, in linea con la filosofia da cui emersero i bestiari, gli erbari e i lapidari – della struttura armonicamente complessa dell’universo, per cui ogni essere o materiale non è che la “cristallizzazione” di determinate qualità o proprietà cosmiche. Inoltre, ben presto mi fu chiaro come il nutrirsi del bello e l’essere in esso immersi fosse una sua vera e propria necessità, e non per un qualche damerinico capriccio od ostentazione d’opulenza, bensì per quell’intimo riconoscimento di verità, ben delineata nell’ideale greco della καλοκαγαθία, secondo cui nel bello e attraverso esso è possibile scorgere anche ciò che è buono e virtuoso. Non potrò mai dimenticare, a tal proposito, come dalle sue passeggiate mattutine tornasse sempre con fiori freschi, con cui costantemente abbelliva tutte le sale del castello (facendoli porre anche in quelle che, con l’avanzare del tempo, erano divenute per lui inagibili). Un senso di eleganza e un profumo di freschezza furono per me sempre lì riscontrabili, e questo fino all’ultimo periodo.

Concluderei questi accenni con un simpatico aneddoto, in grado di mostrare una volta in più la vastità delle sue competenze in tali ambiti. Ricordo distintamente che un giorno portai al castello una mia amica, appassionata, tra le altre cose, di cucito. Ebbene, il Conte parlò a lungo con lei di un imprecisato numero di tecniche sartoriali, illustrandole anche diverse tipologie di “punti”, alcuni risalenti addirittura al XVII e XVIII secolo – attraverso i quali erano impreziositi alcuni tendaggi, oltre che divani e poltrone facenti parti dell’arredamento.

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SPIRITUALITA’ – Riguardo alle tradizioni spirituali, Raniero Gnoli era dichiaratamente cristiano cattolico, ma i lunghi studi di orientalistica e i riferimenti tradizionalisti prima indicati, non potevano non determinare una visione decisamente più ampia e spiritualmente complessa dell’universo. Per sua ammissione, alcune letture e traduzioni erano a lui servite per “meglio comprendere” certi enunciati dello stesso cristianesimo, fornendo, infine, una visione d’insieme di tipo Tradizionale, secondo la quale le varie tradizioni sacre non sono che “linguaggi di verità” differenti per popoli differenti, tutti derivati dall’unico centro di emanazione universale. La lettura integrale e ad alta voce della Baghavad Gita, nella traduzione da lui stesso realizzata, che terminammo poco prima della sua scomparsa, è senz’altro tra i ricordi più significativi che posso qui riportare, durante la quale mostrò ancora ottime conoscenze della lingua sanscrita, nonché la capacità, appunto, di operare sincretismi tra diverse tradizioni, quali, in questo caso, il buddhismo e l’induismo – riconoscendo l’emersione di verità dalla loro reciproca e sintetica compenetrazione. Un punto di riferimento, inoltre, fu Massimo Scaligero, che ebbe modo di conoscere personalmente e seguire per alcuni anni. Interessante, per finire, sarebbe rimarcare l’abitudine, negli anni dell’infanzia, a frequentare circoli kremmerziani, poiché suo padre l’avrebbe portato più volte a casa di Vincenzo Verginelli, dalle cui finestre, ricordava ancora dopo oltre otto decenni, era possibile scorgere le colonne in porfido del Tempio di Venere e Roma.

Con quella che divenne una felice consuetudine, così, mi recai presso il castello per circa quattro anni, sempre accolto con gentilezza e amicizia, e sempre uscendo da quelle sale con uno spiccato senso di appagamento, da un punto di vista sia umano che culturale.

Andai a trovare per l’ultima volta il Conte Raniero Gnoli appena tre giorni prima della sua scomparsa. Il giorno precedente l’infausto evento, mi fu riferito da un ottimo uomo di nome Stefano Corradi, era ancora in grado di recitare a memoria poesie del Canzoniere di Petrarca, nonostante fosse visibilmente stanco e debilitato. Da quanto mi risulta, il Conte Gnoli si è spento serenamente e circondato dai suoi cari.

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TERMINANDO – Come accennato all’inizio di questo intervento, la figura del Conte Raniero Gnoli meriterebbe considerazioni ben più estese e di maggiore approfondimento, ma la mancanza di spazio non ci consente di aggiungere altro, così come non riteniamo noi stessi essere i più indicati per tale compito. Anche se insufficiente, mi auguro però che il mio ricordo sia riuscito a sintetizzare ciò che egli era: intellettuale, poeta, artista e, soprattutto, uomo “interiormente” nobile, che ricercò la verità e la bellezza sopra ogni cosa. Dunque sostanzialmente, odiernamente, un esule in terra straniera, in grado però di rimembrare, a chiunque ne avesse avuto le capacità, con la sola presenza della sua persona, l’esistenza di una realtà più piena e luminosa, dove una vita che valeva la pena essere vissuta doveva necessariamente passare per una postura interna, dalla quale, inoltre, si sarebbe strutturata l’esigenza di una ricerca indirizzata verso le più alte Verità – oggi completamente ovattate e nascoste, nella percezione comune, dal vorticoso declino dell’umanità, così chiaramente previsto e descritto da tutte le principali Tradizioni della storia.

RINGRAZIAMENTI – Non potrei, anche solo a margine di queste pagine, non ringraziare le persone che nel corso di questi anni ho avuto il piacere di incontrare e conoscere nella casa del Conte Gnoli, per il grande senso di accoglienza, nonché cortesia ed amicizia che hanno sempre mostrato nei miei confronti. A partire dai figli, Umberto e Sofia, sempre cordiali e sinceramente ospitali. Stefano Corradi, con cui il Conte si dilettava e intratteneva in lunghe e impegnative letture, quali l’intera Divina Commedia o l’Eneide. Peter Glidewell, dall’arguto e spiccato senso dell’umorismo, con ottime competenze storico-artistiche. Per ultime, ma non certo per importanza, è con affetto e riconoscenza che saluto Renata, cuoca e assistente, e la già citata Agnese. Solo chi ha potuto frequentare il castello può rendersi conto dell’inestimabile contributo fornito da queste due signore, che hanno sempre sostenuto e appoggiato il Conte Gnoli, fino agli ultimi istanti di vita.

ALTRO – Come aggiunta per i più curiosi, segnalo che alcuni anni fa la rivista Vogue (in: Vogue Casa, numero di aprile 2021) pubblicò un articolo sulla casa di Raniero Gnoli, accompagnato da fotografie davvero sfiziose, alcune delle quali sono reperibili anche online (leggi l’articolo di Vogue su Raniero Gnoli).

Immagine: proprietà privata della foto

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