Eroici arietini furori


Il segno dell’Ariete: il furore di Marte che scorre nelle vene di uomini e donne arrabbiati, dalle “marescialle” siciliane, ad Aragorn e Boromir. Ma non dimentichiamoci di Don Chisciotte e D’Artagnan

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C’è uno spirto che entro rugge nell’Ariete ed è il daimon di Marte, governatore del segno: è la guerra che imperversa nel piccolo microcosmo delle nostre vite quotidiane in stato d’assedio e in lotta per la sopravvivenza, dove spesso incontriamo Ariete nelle sue forme più prosaiche: nell’ultima parola, in una lite, nell’alterco con uno sgarbato impiegato di un ufficio pubblico, nell’agonismo di entrare per primi in un tram, nella scurrilità delle invettive contro gli automobilisti indisciplinati, nelle competizioni tra colleghi, compagni di studi, avversari sportivi. E, infine, nel motto:

Mors tua, vita mea.

Come per tutti gli altri simboli astrologici, l’Ariete è nelle nostre vite prima ancora di essere nelle nostre carte natali.

Tra le pagine della letteratura, il primo segno dello Zodiaco si è manifestato già dai tempi più remoti nell’icona intramontabile dell’eroe e del cavaliere “senza macchia e senza paura” delle chansons de gestes e delle ballads. E, sul solco di questo archetipo, si sono messi in viaggio personaggi eroici come Aragorn e Boromir del Lord of the Ringsdi Tolkien, – che avevamo citato nel periodo del Capricorno a proposito della hiraeth – sebbene essi già contengano gli aspetti più complessi di un’umanità tutt’altro che monolite:  capitani coraggiosi, senza dubbio, tuttavia portati dalle circostanze a confrontarsi con le ombre proiettate dal sentimento di attrazione e repulsione nei confronti del Potere, di cui l’Anello è simbolo e che  l’Ariete, piuttosto che ambirvi, considera già nelle sue mani.

Gli ideali della cavalleria avranno già imboccato la via del tramonto quando Miguel de Cervantes darà vita al suo Don Quijote(1605), ultimo comico rappresentante dell’antico cavaliere di marca arietina, al quale si aggiungono delle sfumature di ingenuità fanciullesca, essendo sì coraggioso ma al limite dell’incoscienza e antesignano di una serie di personaggi del filone picaresco che ne ricalcheranno l’esempio in modi peculiari. 

Pertanto, l’eco del Don Chisciotte risuonerà qualche secolo più tardi nel D’Artagnan de Les trois mousquetaires (1844) di Alexandre Dumas, romanzo a cui, a sua volta, è largamente debitore i Beati Paoli (1910), piccolo gioiello della narrativa siciliana del palermitano Luigi Natoli, in cui vengono raccontate le vicende della celebre setta di giustizieri mascherati che si riuniva in segreto nei sotterranei (tuttora visitabili) della Palermo del XVIII secolo.

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Ebbene, vi è una scena, quasi identica in entrambi i romanzi d’appendice, in cui D’Artagnan / Blasco da Castiglione, entrambi giovanotti spavaldi e di indole focosa, fanno il loro primo, baldanzoso ingresso nella città di Parigi / Palermo a dorso di un bizzarro ronzino (reminiscenza del donchisciottesco Ronzinante) e, suscitando lo scandalo (e il sarcasmo) dei passanti. È sulla scorta di questo stralcio letterario che, non a torto, potremmo prenderci la libertà di apostrofare certi comportamenti vistosi dell’Ariete come, appunto,… guasconi!

Ma in Sicilia torneremo presto tra poco.

Abbiamo visto come l’Ariete mascherato nella sua versione letteraria dell’eroe abbia contribuito a plasmare l’immaginario – opinabile e tuttavia duro a morire – del cosiddetto “uomo forte”, una figura salvifica, coraggiosa e pronta all’azione, chiamata a sconfiggere il drago di turno e salvare una principessa passivamente in attesa. Se, da un lato, è la cultura di appartenenza a connotare certe qualità morali come esclusive di un genere sessuale, dall’altro, l’astrologia ci insegna nella pratica che uno stesso simbolismo può esprimersi invariabilmente sia nei temi di uomini quanto di donne. Il simbolo astrologico, di per sé, è genderless, per usare un linguaggio di moda.  

Pertanto, a latere di un tipo di “uomo forte”, esiste certamente un tipo di “donna forte” di essenza arietina, con tutte le caratteristiche (nel bene o nel male) incontrate nella versione maschile. È vero che la letteratura è povera di esempi di Jeanne d’Arc, tuttavia se dovessi pensare a modelli simbolici tipicamente marziali, non posso non ignorare i tanti esempi che mi ha offerto negli anni una terra come la Sicilia, traboccante di guerriere, matriarche, comandanti, “marescialle”, icone quasi mitologiche di un’isola in cui l’uomo comanda ma è la donna a decidere, (rubando le parole del giornalista Daniele Billitteri).

Non tutte hanno conosciuto la fama e, tra le poche che lo hanno fatto, vorrei scegliere come rappresentante la cantautrice e poetessa Rosa Balistreri (che forse Ariete lo era veramente perché nata per l’equinozio di Primavera del 1927 a Licata, in provincia di Agrigento), espressione del furore di Marte che scorre nelle vene di una donna arrabbiata, agguerrita, combattente, scomoda, armata della propria chitarra attraverso la quale ha dato voce alle ferite personali e collettive di una vita cruda e ingiusta, di una terra crudele e spesso matrigna. E di tutti coloro i quali, nonostante l’emarginazione subita da una società benpensante, borghese, mafiosa, corrotta fino al midollo, non si sono mai arresi, da veri eroi ed eroine.

Consigli di lettura:

  • “Le Siciliane” di Gaetano Savatteri, Laterza, 2021.
  • “Femina Panormitana” di Daniele Billitteri, Pietro Vittorietti, 2003.
  • “I Beati Paoli” di Luigi Natoli, Sellerio editore, 2016.
  • “I Tre Moschettieri” di Alexandre Dumas, Feltrinelli, 2016.
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