Negli idilli dove pascolano i Tori


Pigrizia e piaceri, tra poeti persiani, Oblomov e… William Shakesperare? Non a caso il taurino Karl Marx critica l’iper-produttività capitalistica, lì dove non c’è tempo per l’uomo.

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Il Toro è la dimora di Venere, che nel segno esprime il pieno fiorire della primavera, il trionfo dei cinque sensi, delle fertilità, della bellezza. E’ con la sua fame pantagruelica che il Toro, fuggito dalle sozzure urbane e rifugiatosi nel locus amoenus di reminiscenza arcadica,esplora e gusta quei piaceri della vita, dai profumi corposi e dal sapore antico, di cui ne racconta i segreti, con un linguaggio voluttuoso e scevro di complicazioni, di ombre, di demoni e dello spleen di cui spesso sono vittima i poeti.

E’ così che l’antologia letteraria del Toro non può non cominciare da uno dei suoi presunti rappresentanti, il bardo William Shakespeare che, seppur la sua identità sia avvolta dal dubbio e dall’incertezza (la data di nascita convenzionale è il 23 aprile 1564), sembra tuttavia aver onorato i valori del Toro, tramandando alla posterità versi pregni di sensualità ed erotismo, come quelli in cui Venere, infuocata dalla lussuria, rivolge una preghiera appassionata allo sfuggente Adone:

 Pascola sulle mie labbra, e se queste colline sono secche,

muoviti più giù, dove giacciono fonti più piacevoli.

Il richiamo a un universo mitico, agreste, bucolico in cui i sensi trovano spazio e libertà liberi dalle catene della convenzionalità borghese, è l’ambientazione ideale per il quieto ozio (l’alto Ozio dei campi di leopardiana memoria) che viene spesso attribuito al Toro quale aspirazione d’elezione, concetto molto antico, che risale all’otium latino, il tempo libero che poteva essere dedicato ad attività, come lo studio, diverse dal lavoro, dai negotia.

L’ozio, in sostanza, può certamente diventare condizione di contemplazione filosofica e forza ispiratrice di azione poetica. Non a caso, Venere in astrologia è, non solo il pianeta dell’amore, dei piaceri, dell’arte ma le si attribuiscono caratteri come la pigrizia, conditio sine qua non è possibile godere lentamente del piacere fine a sé stesso, senza la necessità di una finalità pratica, magari accompagnato da un bicchiere di buon vino.

A questo proposito, maestro è stato il poeta e astronomo persianoʿUmar Khayyām (18 maggio 1048 – 1131), che da buon Toro nelle sue Ruba’iyat ha celebrato il trionfo del vino, dell’amore e della dolce requie: 

Qui sotto un ramo, con un pezzo di pane,

una  fiaschetta di vino e un libro di versi,

e tu al mio fianco che canti  in questa Deserto

che adesso rappresenta il Paradiso

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Certo, non tutti gli “oziosi” si dedicano con profitto alla poesia, alla filosofia e alla letteratura e i più altro non sono che degli sventurati peccatori di accidia ai quali Dante dedica un girone apposito. Ma se vogliamo conoscere da vicino un esempio di otium assolutamente più prosaico, dobbiamo lasciare le vie della Città Eterna o il sensuale Oriente di Khayyām per farci trasportare dalla penna dello scrittore russo a San Pietroburgo, precisamente in via Gorochovaja, dove se ne stava di mattina a letto nel suo appartamento Ilja Iljič Oblomov.

Così viene introdotto il memorabile personaggio del romanzo omonimo, un autentico anti-eroe che sembra incarnare una versione esasperata di alcuni tratti del pianeta Venere e dei valori del Toro.

…nei tratti del volto privo di qualsiasi idea determinata, di qualsiasi concentrazione. Il pensiero passeggiava come un libero uccello sul suo viso, svolazzava negli occhi, si posava sulle labbra semiaperte, si nascondeva nelle rughe della fronte, poi scompariva, e allora su tutto il volto si accendeva l’uniforme colore dell’indifferenza. Dal volto l’indifferenza passava alle pose di tutto il corpo, perfino alle pieghe della veste da camera.

Spiccatamente indolente, pigro, indeciso e svogliato, Oblomov è avvezzo alla procrastinazione, preferendo languire dolcemente sul suo divano. Un grande sognatore, sì, ma che difetta del mordente necessario per agire.

E, come la Venere del Toro, il nostro personaggio aspira, in realtà, a una vita di pace, armonia e tranquillità, senza grosse complicazioni né grandi scossoni.

Ai suoi occhi la vita si divideva in due parti: l’una era fatta di lavoro e noia, che per lui erano sinonimi; l’altra di pace e di tranquilla allegrezza.

Nonostante Gončarov stia descrivendo, tutto sommato, un uomo emblema di ozio e inettitudine, l’autore non riserva alcun disprezzo per il personaggio, anzi, sembra trattarlo con una certa simpatia, la stessa che suscitano coloro i quali sono portatori di valori venusiani accentuati.

Non c’è condanna né assoluzione per Oblomov.

Piuttosto, questo singolare ometto disteso oziosamente sul divano potrebbe indurci a riflettere su quanto c’è di Oblomov in noi stessi – Venere, del resto, è presente nel tema natale di ognuno –  e quale voce siamo dando al bisogno di non far nulla, di non riempire nessun vuoto col rumore delle chiacchiere in compagnia di altri corpi che occupano lo spazio di quello stesso vuoto, di resistere all’imbarazzo di stare accanto allo spettro delle nostre ombre e paure, di mettere in atto la ribellione della procrastinazione. 

In un mondo che, ispirato dai cattivi maestri del consumismo, della globalizzazione e del capitalismo, – che non a caso venne criticato proprio dal Toro Karl Marx (5 maggio 1818 – 1883) – spinge i propri sudditi a lavorare di fretta e senza tregua come vacche da monta per arricchire padroni e padroncini di aziende produttrici di futilità, in cambio di uno stipendio da esaurire in un cocktail di bollette e psicofarmaci, farsi invadere dalla forza archetipale della Vacca Sacra, anziché mungerla, può rappresentare un atto rivoluzionario. Meglio ancora, un atto umanitario nei confronti di sé stessi.

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Consigli di lettura per non muoversi dal divano:

  • Shakespeare,tutti i Sonetti e i Poemetti.
  • Omar Khayyam, le Quartine
  • Ivan Gončarov, Oblomov, Einaudi, 2017.